Il ministro Boschi: «Siamo tutti italiani»

Nuova strigliata a Kompatscher dal governo: «I morti meritano lo stesso rispetto». Lo storico: «Serviva più attenzione»


di Paolo Campostrini


BOLZANO. Il governatore Arno Kompatscher non ha fatto marcia indietro e ieri ha lasciato spoglie le aste sulla facciata di Palazzo Widmann, del consiglio provinciale e di tutti i palazzi provinciali. Il Comune ha messo il tricolore a mezz'asta in piazza Municipio e in via Vintola, sulla facciata dell'anagrafe. Nei quartieri i bolzanini hanno esposto la bandiera da finestre e balconi. E i secessionisti hanno messo quella tirolese listata a lutto.

Da Pisa intanto anche il ministro delle Riforme Maria Elena Boschi, dopo il ministro della difesa Roberta Pinotti, ha criticato lo “sciopero del tricolore”: «Capisco che in Alto Adige ci sono persone che hanno ancora ferite non rimarginate però penso che siamo tutti d'accordo se diciamo che siamo prima di tutto italiani. I morti sono tutti uguali e meritano tutti lo stesso rispetto. Così come sappiamo che in quella regione ci sono sentimenti diversi di intere fasce di popolazione. Del resto non è un caso se il nostro Stato ha riconosciuto al Trentino Alto Adige una forte autonomia. Quindi è giusto fare uno sforzo di comprensione ma anche rivendicare il diritto a pensare che siamo prima di tutto italiani».

Sulla decisione di Kompatscher abbiamo intervistato lo storico Andrea Di Michele.

«È complicato, è complicato. Occorreva spiegarla la bandiera. Spiegare con chiarezza modi e tempi e, magari, avere un occhio di riguardo per questa provincia. Dove, immagino lo sappiano anche a Roma, hanno tutti combattuto contro l'Italia da quel 24 maggio».

Professore, mica vorrà paragonare gli Schützen alla ministra Pinotti?

Neanche ci penso. Dico che quella dei tiratori è stata la classica operazione mistificatoria. Del tipo: fanno finta di ricordare i morti e invece esaltano una guerra per i confini. E poi, naturalmente, solo i loro morti, non anche quelli italiani.

E qui ci siamo, ma il tricolore?

È un'altra storia ma rischia anch'esso di mistificare. Naturalmente qui si tratta solo di mancanza di sensibilità. Ma l'effetto è stato quello di far dire a molti sudtirolesi: Ecco, vedete? Sempre Roma che non capisce.

Non capisce cosa?

Che qui il 24 maggio è un'altra storia. E detto che fa bene la ministra Pinotti a dire che la bandiera è simbolo dell'unità nazionale, allora per Bolzano non bastava un decreto acqua e sapone. Ma un invito con spiegazione. Magari lasciando libertà d'iniziativa. O almeno mostrando di aver capito dove questo decreto sarebbe finito. Perché altrimenti è pura burocrazia.

Un Paese non può ricordare l'inizio di una vicenda che ha segnato profondamente la sua storia?

Assolutamente sì. Ma allora una bandiera non basta. E' troppo elementare. Dico di più: non basta non solo a Bolzano ma anche nel resto d'Italia. Per questo sarebbe giusto, come accade altrove in Europa, ricordare o celebrare il giorno della vittoria. Perché l'entrata in guerra invece, il 23 maggio, è pieno di ombre.

Di che tipo?

Fu in pratica un colpo di Stato. Il re e il primo ministro presero la decisione esautorando in pratica il Parlamento e passando sopra anche l'opinione pubblica nazionale che in quel contesto era molto divisa. Insomma, se vogliamo fare la storia, a distanza di cento anni sarebbe stato il momento di farla tutta.

Ma qui da noi, storia o no, c'è sempre un riflesso automatico quando si tratta di bandiere.

Proprio immaginando questi automatismi, che vorrei fossero superati, ma che ci sono, ci sarebbe voluta meno irruenza. Capisco la difficoltà di Kompatscher. Che ha detto parole molto dure agli Schützen il giorno delle croci ma che in questo caso è stato messo con le spalle al muro.

Non si rischia di semplificare una vicenda complessa come la grande guerra anche per l'identità italiana?

Si è tirato fuori Gramsci per questa questione. Giusto. Il fronte e le trincee fusero una nazione che allora era unita solo sulla carta. Una nazione molto giovane e insicura fino ad allora. Ma Gramsci prese atto. Non esaltò la vicenda.

Ma anche per i 150 anni dell'unità nazionale la bandiera italiana finì male a Bolzano...

Ecco, quello fu un errore da parte della Provincia. E anche puerile. Perché un conto è la guerra, un altro l'atto fondativo di un Paese che celebra anche la sua democrazia e con la democrazia pure l'autonomia. Sbagliato non esporla allora.

Di errore in errore non la finiremo mai?

Prendere atto che a Bolzano la storia ha avuto incroci particolari è un piccolo contributo a farla finire. O almeno a tenere lontane le occasioni di scontro.













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