«Il mio primo maggio segnato per sempre dalla tragedia Cellsa» 

La testimonianza. Giancarlo Tessaro aveva 26 anni e lavorava nella fabbrica della Zona,  specializzata nella produzione di pannelli in legno compresso, quando una violenta   esplosione nella notte, tra il 23 e il 24 aprile 1976, ha ucciso tre suoi compagni di lavoro


antonella mattioli


Bolzano. Da quella notte del 24 aprile sono passati 43 anni. Al posto della “Cellsa” - filiale bolzanina di una fabbrica svedese che, all’incrocio tra via Pacinotti e via Volta, produceva pannelli in legno compresso - oggi c’è il magazzino della “Metro”.

Il tempo sta facendo il suo lavoro. Sta cancellando i ricordi di quella tragica notte del 1976 in cui sono morti “devastati” dalle ustioni tre operai bolzanini: Graziano Nannetti, 26 anni, Michele Delli Santi, 25 anni, Antonio Franconieri, 37 anni. I loro nomi sono incisi su una stele, posta in via Pacinotti davanti alla Metro, dove oggi, festa del lavoro, alle 9.30 il sindaco Renzo Caramaschi deporrà una corona. I loro volti, le loro invocazioni d’aiuto mentre fiamme e fumo se li stavano portando via sono impressi nella mente di Giancarlo Tessaro, che era rimasto leggermente ferito e a tanti anni di distanza si commuove, quando pensa ai compagni che ha visto morire. «Avevo 26 anni - racconta Tessaro, padre di Michela ed Evelyn, che oggi abita a Laives con la moglie Vilma- e lavoravo alla “Cellsa” da quattro, come meccanico. Era una grossa ditta con oltre un centinaio di dipendenti distribuiti su tre turni: dalla lavorazione dei tronchi si producevano trucioli che poi mescolati a speciali colle venivano pressati e trasformati in pannelli usati per costruire mobili. Erano gli anni del boom economico e gli italiani si facevano il mobilio nuovo. La ditta andava bene e dentro c’era un buon clima. Graziano, Michele e Antonio erano degli amici».

L’inferno

Tutto questo fino a quella maledetta notte tra il 23 e il 24 aprile 1976.

«Stavo facendo il turno di notte, quando, intorno a mezzanotte, mi hanno chiamato perché nel “Cellsa 2”, il nuovo padiglione, c’era un problema. Ho fatto appena in tempo ad arrivare lì che c’è stata una violenta esplosione. Una cosa terribile: fiamme e fumo dappertutto».

In un attimo si scatena l’inferno provocato probabilmente da una fiammata. Il fuoco, attraverso le condotte del sistema di ventilazione forzata, ha raggiunto i padiglioni della produzione: le polveri del legno accumulate hanno alimentato ancora di più le fiamme, e poi il fumo e il calore.

Tessaro e Faustino Ceciliato, anche quest’ultimo tra i feriti, danno l’allarme: sul posto ambulanze e vigili del fuoco.

Dalla torre del “resinaggio” arrivano le urla disperate di Michele Delli Santi. Bisogna tentare di salire subito dall’esterno, ma serve l’autoscala dei pompieri che in quel momento però non c’è.

«Io conoscevo benissimo ogni angolo dell’azienda e ho accompagnato i pompieri: abbiamo cercato di salire sul tetto dalle scale interne. Purtroppo sono stato investito da un’ondata di calore: mi sentivo le mani e il volto bruciare. Impossibile andare avanti. Le invocazioni di aiuto di Michele si sono sentite ancora per un po’, poi il silenzio».

Graziano Nannetti, addetto alla pressa, e Antonio Franconieri, impiegato nel reparto rifilatura dei pannelli in truciolato, invece sono ancora vivi quando arrivano i soccorsi. Ma con ustioni su tutto il corpo.

Ustioni devastanti

«Le fiamme e soprattutto le temperature altissime sviluppatesi all’interno dello stabilimento avevano provocato ustioni profonde sui corpi di entrambi. Ciononostante Graziano era lucido. Ricordo le sue urla di dolore, disperazione, rabbia: sapeva che per lui non c’era più nulla da fare».

Vista la gravità entrambi gli operai vengono immediatamente trasferiti dal San Maurizio al Centro grandi ustionati di Verona. Un disperato tentativo di salvarli che si rivelerà inutile: Nannetti muore durante il viaggio; Franconieri il giorno dopo.

Il sopravvissuto

Tessaro si considera un miracolato non una ma due volte: «Quella notte pioveva e sono andato da un padiglione all’altro, passando dall’interno. Un tragitto che in genere non si faceva mai per non dover camminare vicino al serbatoio dell’ammoniaca con il naso tappato. In questo modo però ho evitato di essere investito dalle fiamme. Non solo: al posto di Michele Delli Santi avrei dovuto esserci io. Per un errore di un collega, che smontando dal turno di notte si era preso la sua borsa con dentro la merenda (le due borse erano uguali, ndr), Michele mi aveva chiesto di sostituirlo sulla torre del “resinaggio”: voleva fare un salto a casa, poco prima di mezzanotte, a prendere qualcosa da mettere sotto i denti. Ma all’ultimo momento aveva deciso di rimanere: avrebbe mangiato una volta finito il turno».

Dopo la tragedia che ha scosso profondamente l’intera città, costringendo tutti ad una profonda riflessione sulla sicurezza all’interno delle fabbriche, c’era stata un’inchiesta della magistratura.

La “Cellsa”, in precedenza, era stata già al centro di un’indagine della Procura per quanto riguardava il rispetto delle norme in materia di salute. Il Comune - sindaco allora era Giancarlo Bolognini - aveva emesso delle ordinanze per eliminare le pericolose polveri di legno e i vapori di ammoniaca.

La proprietà svedese che aveva rilevato l’azienda - costruita molti anni prima con il nome “Unione fiammiferi”, dandole nuovo impulso e realizzando a fianco un nuovo capannone per far fronte alle commesse - subito dopo il tragico incidente, aveva annunciato l’intenzione di andare avanti.

La chiusura

Ma poi le cose andarono diversamente. «Dopo un periodo di cassa integrazione - ricorda Tessaro - l’azienda aveva proseguito l’attività ancora per un po’ di tempo. Poi lo stabilimento era stato chiuso».

E successivamente abbattuto.

 













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