Il Risorgimento che parla anche a noi

di Sergio Baraldi


Sergio Baraldi


Da alcuni giorni, abbiamo inserito sotto la testata del giornale una fascia tricolore per ricordare i 150 anni dell’unità d’Italia. Non l’abbiamo fatto per orgoglio nazionalistico, né lo abbiamo deciso come risposta a certe dichiarazioni sbagliate di Durnwalder o alle esternazioni “televisive” di Sgarbi, che cerca colpi a effetto come se fosse in una di quelle arene della tv in cui non si risolve mai nulla, rappresentando in modo superficiale e falso il problema italiano in Alto Adige.

Lo abbiamo fatto non “contro” qualcuno (il mondo tedesco), ma “per” qualcosa. Vale a dire, la convinzione che ripensare gli eventi del Risorgimento possa indicarci un insieme di valori e idee che potrebbero orientare, ancora oggi, l’intera società altoatesina, compresa quella tedesca. Riflettere sul senso dell’Italia unita, infatti, può aiutarci a comprendere non solo la complessità di quell’esperienza, le ferite lasciate aperte, ma cogliere di questa storia che cosa, alla fine, ha costituito un fattore di progresso per l’Italia e le diversità che vivono entro i suoi confini. Come l’Italia di allora, sia pure in un scenario mutato, oggi dobbiamo misurarci con problemi di identità, ci interroghiamo sul nostro ruolo, sulla possibilità di conquista di uno spazio di civiltà. Sono questi interrogativi che rendono moderno il Risorgimento anche per i gruppi linguistici che nel Paese vivono come minoranze.

L’insegnamento moderno del Risorgimento consiste, a mio avviso, nella connessione che si è stabilita tra nazione e democrazia intorno alla Costituzione, che poi si sarebbe affermata pienamente solo un secolo dopo con la Resistenza al fascismo e la Costituzione repubblicana del 1948. Perché riguarda il gruppo italiano e gli altri? Perché questo nesso, sia pure tra ritardi e lacune, ha affermato principi validi ovunque e ha portato al riconoscimento dell’autonomia di una terra speciale come l’Alto Adige, al suo Statuto, consentendo l’esperienza di uno dei modelli di convivenza più avanzati nel mondo. Ecco perché Durnwalder sbaglia, politicamente e storicamente, quando per i suoi calcoli politici di corto respiro (la concorrenza a destra) non si considera erede di quella storia. Nessuno si stupisce se Durnwalder nel suo cuore si sente suditorlese. Anzi, è un sentimento che merita rispetto. Ma è un errore, che fa di lui un uomo del passato, non accettare il fatto che la Repubblica antifascista moderna ha le sue radici in quel Risorgimento, in quelle battaglie costituzionali e democratiche che furono la prima esperienza di vita collettiva degli italiani e che richiamarono l’attenzione dell’opinione pubblica europea, facendo del “problema italiano” una questione all’ordine del giorno nell’agenda della diplomazia internazionale. E che ora permette a Durnwalder di essere ciò che è. Quello che sembra interessante del Risorgimento va cercato nel suo paradigma di fondo: una nazione che voleva riunificarsi attraverso i principi di una istituzione moderna qual è la Costituzione, e i suoi pilastri di libertà, uguaglianza sotto le leggi, nuovo patto tra italiani, seguendo una via all’unità che era una strategia costituente.

E’ il patriottismo costituzionale che teneva insieme le diverse anime del Risorgimento e che si rivelò un fattore di mobilitazione. Perché dovremmo, a mio avviso, assegnarle un valore centrale? Perché lo Statuto dell’autonomia nasce, in virtù di quella storia, da un’adesione simile, da problemi simili, come specchio di un processo costituente oggi ancora incompiuto. Un processo che la comunità italiana ha spesso guardato con diffidenza, che talvolta ha ostacolato credendo di difendersi, e che solo negli ultimi tempi sembra invece assimilare e condividere. Invece, dobbiamo ricordarci che le battaglie costituzionali e democratiche sono universali. E in Alto Adige gli italiani sbagliano se si tengono ai margini; mentre, se guardano alla storia del Paese, possono comprendere le aspirazioni della popolazione tedesca, ma anche capire le contraddizioni e i limiti della costruzione politica che viviamo oggi. E impegnarsi per superarli. Ecco il compito della minoranza italiana: altro che “ghetto”, altro che “ebrei” sotto il tallone di Durnwalder, al contrario possono essere i protagonisti di una iniziativa costituzionale per le libertà e il cambiamento a vantaggio di tutti. Sulle tracce del Risorgimento, possiamo capire meglio la complessa questione tedesca e convincerli a superare le paure per un “nemico” che non c’è più.

E’ la nobile missione di realizzare un’apertura più profonda della società altoatesina, un’espansione dei diritti, che richiama l’intera società alla responsabilità. Non dimentichiamo che in un testo apparso nel 1765 nel periodico lombardo “Il Caffè”, luogo di discussione della élite italiana già sotto l’influenza dell’illuminismo, si disegna un significato di patria non solo come terra in cui si è nati, ma come “patria di diritto”. Il fondamento della nazione non era posto solo nel sentimento d’appartenenza o nella lingua, ma pure nella cittadinanza. Per questo il nostro giornale ha deciso, il 17 marzo, di regalare a tutti i lettori copia della Costituzione della nostra democrazia moderna: essa è l’alto risultato di un lungo cammino (costellato purtroppo anche di periodi oscuri come il fascismo) che però simboleggia la via costituzionale e democratica alla nazione che, molto più tardi, ha consentito la nascita dell’autonomia altoatesina. Prima dei moti rivoluzionari e delle guerre d’indipendenza, la parte avanzata della società che immaginava l’Italia assegnava questo significato all’essere italiano: non sentirsi estraneo in nessuna parte del Paese perché si è cittadini. E’ la cittadinanza il cuore del patriottismo costituzionale del Risorgimento. La spinta verso l’autocoscienza italiana è moderna in quanto non fu solo culturale e letteraria, ma definì la risposta a un insieme di problemi politici: il declino drammatico del Paese, il ritardo accumulato rispetto alle nazioni che guidavano l’Europa, le occupazioni, le umiliazioni subite dal nuovo sistema internazionale di Stati. Emerge nell’Ottocento il volto di un’Italia riformista, anche se ristretta alle classi dirigenti, che suscitò passioni e azioni destinate a riabilitare il Paese, far avanzare la mentalità, modernizzare l’economia.

Forse che questo disegno non parla un linguaggio che può essere ascoltato anche oggi? Non trasmette un messaggio anche al gruppo linguistico tedesco? Il Risorgimento ricorda l’emergere di un’identità nazionale nei suoi rapporti con l’Europa e con il mondo di allora modernizzato dall’illuminismo. In questo quadro, gli italiani seppero conquistare il diritto storico all’autodecisione. Per questa ragione dovremmo comprendere la posizione della minoranza nazionale tedesca. Nello stesso tempo, la maggioranza tedesca in Alto Adige dovrebbe guardare con occhi liberi dalle ipoteche del passato alla società da costruire insieme agli italiani e ai ladini. Leggiamo il Risorgimento come storia di una legittimazione politica in cui si svilupparono un senso di appartenenza nazionale - che non è detto coinvolga tutti - e soprattutto un’idea di democrazia (la repubblica) che invece può unire e permetterci di riconoscere l’uno le domande dell’altro. Sappiamo bene che la cronaca quotidiana s’incarica spesso di smentire quelle idee e quei valori.

Ma se i cittadini, qualunque lingua parlino, dimostreranno di crederci, le cose cambieranno. Ancora una volta la rappresentanza politica, come spiegano bene Palermo e Di Michele oggi, non sempre si dimostra all’altezza delle sfide che la società deve affrontare. Il Risorgimento lascia in eredità la fiducia nell’innovazione politica e sociale, negli ideali democratici, nella forza gravitazionale che può esercitare in una comunità la Costituzione dei diritti. C’è ancora una polarizzazione eccessiva su questi temi, i conflitti non mancheranno. Ma i cittadini, guardando al passato, possono ridefinire il profilo di cosa significhi essere italiani oggi in Alto Adige: non pensare la minoranza, non pensarsi minoranza, ma concepirsi agenti di cambiamento, immaginare con coraggio il futuro collettivo.













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