Il sfida di Tamara Lunger «Pilotare gli elicotteri»

La fortissima alpinista altoatesina in partenza per gli Stati Uniti dopo il Nanga «A San Diego conseguirò il brevetto, poi a fine giugno ricomincio a scalare»


di Antonella Mattioli


BOLZANO. «Domenica parto per San Diego: voglio fare l’esame per il brevetto di pilota di elicottero». È l’ultimo obiettivo di Tamara Lunger, 29 anni di San Valentino in Campo (Val d'Ega), una delle più forti alpiniste del momento, dopo il rientro, i primi di marzo, dalla spedizione in invernale al Nanga Parbat con Simone Moro. Ieri ha raccontato la sua ultima ascensione himalayana ad una quarantina di persone che hanno partecipato con lei all’escursione in notturna (partenza da Meltina e notte in tenda) organizzata da “The North Face” assieme a Sportler.

Ciò significa che abbandonerà la montagna per il volo?

«Assolutamente no. La montagna è la mia vita. Sono giovane, ho voglia di vivere i miei sogni. Ho già il brevetto per gli elicotteri ultraleggeri, ho deciso però di sfruttare questo periodo in cui non possono ancora andare in montagna, per conseguire il brevetto per pilotare gli elicotteri privati. Quella del volo è una passione che ho da tanto tempo. Volevo già fare il brevetto anni fa, ma costava troppo. Tanto che avevo anche pensato di entrare nell’Esercito, per conseguirlo. Poi le cose sono andate diversamente».

Prossime spedizioni?

«Con Simone Moro abbiamo un paio di idee, ma se ne parla nel 2017. Adesso devo rimettermi in sesto: ricomincerò ad andare in montagna e a scalare a fine giugno. Voglio tornare più forte di prima».

Sta curando i postumi della brutta caduta sul Nanga Parbat.

«Purtroppo sì. Ho problemi ai legami di una gamba e ai tendini di una spalla».

Rimpianti per essere arrivata ad un centinaio di metri dalla vetta ed essere stata costretta a rinunciare?

«Quando ho fatto i complimenti a Moro e agli altri due compagni che sono arrivati in vetta devono ammettere che un po’ mi è dispiaciuto. Ma è stato questione di un attimo, perché poi mi sono resa conto che dovevo solo essere contenta di essere viva».

Ha avuto paura di morire?

«Sì. Ho saltato un crepaccio e sono caduta di pancia. Dall’altra parte c’era il baratro. Ho cominciato a scivolare: ho cercato di fermarmi puntando ramponi e piccozza, ma non è servito a nulla. Tutto si è svolto molto velocemente, però ho avuto il tempo di dire a me stessa che era la fine. Invece mi è andata bene: dopo circa 200 metri mi sono fermata credo sull’unico pezzo di neve soffice. La notte è stata dura: stavo male, continuavo a tremare e a vomitare».

In quei momenti non viene la tentazione di dire basta?

«Per me la montagna oggi viene prima di ogni altra cosa. Sono tornata da due mesi alla civiltà, ma ho nostalgia della vita al campo base. Quello è il mio mondo: fatto di freddo polare, notti insonni, lunghe attese e grandi fatiche».

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