La storia

Il vicario Runggaldier, dalla diocesi alle cime con il Soccorso alpino 

Il sacerdote, appassionato alpinista, ha superato l’esame ed è un membro operativo. «Mi sono preparato duramente; ora posso anche aiutare chi è in pericolo in montagna»


Paolo Campostrini


BOLZANO. «Lassù ci si sente più vicini al Signore, è vero». Un vicario diocesano nel soccorso alpino non si era mai visto.

Ma lui, don Eugen Runggaldier, si vede lì, scarponi, zaino e chiodi, fin da bambino. Il papà Vincenzo era una guida, lo zio una guida, in casa sempre tutti a camminare in salita. E poi c’è la vocazione. Anzi due. Il sacerdozio e la montagna.

Quando l’anno scorso ha superato l’esame da soccorritore, ed è entrato come membro effettivo delle unità del Brd, è come se si fossero saldate.

«Stare vicino alla gente lo si può fare in tanti modi. Io ho avuto la fortuna di essere prete - dice - e di dare una mano ai bisognosi. Adesso posso farlo anche in mezzo a chi corre dei pericoli perché ama scalare come me...».

C'è sempre di mezzo l’amore per don Eugen. Che non ha solo il primato di essere vicario - guida ma di essere vicario di tutti e tre i gruppi linguistici. Prima di lui c’erano tre uffici, tre responsabili, tre visioni delle cose. Adesso no, si ragiona insieme. È stato Ivo Muser, il suo vescovo e poi il consiglio diocesano a pensare che era ora di smetterla di ragionare divisi. «Avere uffici diversi significava tenere separati i gruppi etnici. Per questo nel 2015 si è arrivati a questa condivisione». E chi se non lui, ladino, perfetto tedesco e perfetto italiano, passo svelto e parole chiare.

Che succede adesso, vicario?

Succede che la gente ha accettato. All'inizio ci sono stati giorni di assestamento. Ora arrivano da me tutto quanti. Anche i preti, che sulle prime erano abituati al loro referente specifico. Tedeschi, italiani. Naturalmente ladini... Ormai sanno che basta parlarsi.

Che ci fa un da sacerdote nel soccorso alpino?

Fa il soccorritore. È un bel lavoro. Certo, impegnativo. Ho fatto pratica per anni prima di fare l'esame, nel dicembre dello scorso anno.

E quando si è accorto che lei restava comunque un prete ?

C'era stata una chiamata. Una donna giù nel burrone. Arriviamo e non c'era più nulla da fare. Si era a Sarentino. Gli altri due del soccorso si avvicinano, la osservano. Uno si gira e mi fa: «Adesso tocca a te...». Lo ha detto con naturalezza, come se il suo compito fosse finito e iniziasse il mio, da uomo di Dio. Lei era morta. Ho detto le preghiere delle ore ultime. Abbiamo pregato insieme. Ecco, allora mi sono sentito in pace.

È questo che intende quando dice che le due vocazioni si intrecciano. Quando parla di stare vicino alla gente in ogni modo?

Non c’è contraddizione, anzi. Aiutare chi soffre nello spirito e fare lo stesso con chi ha il bisogno, molto materiale, di trovare un riparo, di essere curato, portato al sicuro. Sento che le due missioni hanno la medesima base spirituale in fondo.

La montagna aiuta?

La montagna aiuta sempre. Non è una favola quella che dice che lassù ci si sente più vicini al Signore. Da quando ci vado, fin da piccolo, ho la netta percezione che chiunque ci vada, soprattutto da solo, abbia la possibilità di stare meglio anche con se stesso. Il silenzio, la natura, il cielo così vicino.

Quante volte le avranno chiesto di fare il doppio lavoro, alpinista e sacerdote ...

Tante. Ad esempio ad ogni riunione importante. O quando ci si ritrova, a Natale per le feste del soccorso. Mi chiedono di aiutarli a pregare. Qualche volta di offrire il senso di quello che stiamo facendo.

Sul sito della diocesi adesso c'è la “preghiera del soccorritore”. L'ha scritta lei.

È così. Avevo scoperto che tanti gruppi, tante associazioni e mestieri hanno la loro preghiera. Noi no. Ho ovviato ad una assenza.

Chi pregano i soccorritori ?

San Bernardo di Aosta . È il patrono di tutte le genti che salgono in mezzo ai pericoli. E che magari lo fanno perché è importante loro lavoro.

Difficile l'esame ?

Ci ho lavorato tanto. Ma li serve la pratica . E gli amici che ti danno una mano che ti aiutano a correggere gli errori. All’Alpeverein mi hanno aiutato in tanti Sono arrivato preparato ...

Emozioni ?

Fare il prete e salire in montagna è come avere un doppio passaporto. Prepararsi spiritualmente è una questione di grande importanza. Aiuta ad affrontare le difficoltà, offre la ragione di quello che si sta facendo. Tante emozioni, sempre. Soprattutto in gruppo. Le immagini più belle che ho in mente sono quelle di quando si raggiunge la cima e lassù si trova il crocifisso. Ho sempre pensato che poche volte Gesù è stato presente come in vetta. La cosa bella è che davanti a quella croce, come quella sul Gran Zebrù, tutti erano felici. Un momento quasi perfetto.













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