La denuncia

«Io, cacciato dalla discoteca per il colore della mia pelle» 

In un locale di Bressanone la security ha ordinato a un ragazzo nero di uscire senza dare spiegazioni. Il gestore: «Se era entrato escludo che sia stata discriminazione». Due anni fa a Bolzano gravi affermazioni di odio


Sara Martinello


BOLZANO. «Südtirol ist nicht Italien, ma ringrazia che siamo in Italia e puoi girare tranquillo. Ringrazia che vivi in città, ché nel paesino quando fa buio non puoi sapere come tornerai a casa». Non è l’Alabama, è l’Alto Adige un paio d’anni fa, e un gruppo di ragazzi sghignazza queste frasi in una pizzeria d’asporto del capoluogo. Le sputa addosso a Marco.

Marco è nero. Marco è nato e cresciuto qui: suo padre è originario del Senegal, sua madre è altoatesina. E a partire dall’ultimo episodio, sabato scorso a Bressanone, ricostruisce una serie di storie di ordinario razzismo quotidiano, banale e osceno, esplicito o meno consapevole. Di questa trama sottile Marco sceglie i casi più salienti. Ancora oggi si può essere “colpevoli” di essere neri o nere, donne, transgender, povere e poveri, psicologicamente fragili. È possibile che per così tanti abitanti di questa parte di mondo così “progredita”, nel 2022, la sanzione sia sempre dietro l’angolo?

Il caso di sabato 18 dicembre è contenuto nella segnalazione di una lettrice. Ci riferisce di quanto successo in una discoteca di Bressanone a Marco e al suo amico Luca, che è bianco (entrambi i nomi sono di fantasia; gli interessati hanno chiesto l’anonimato). Interpellato, il gestore del locale brissinese resta attonito di fronte all’accusa di razzismo mossa dalla lettrice: «Se al ragazzo è stato chiesto di uscire dalla discoteca vorrà dire che ha combinato qualcosa. Se nel servizio di security ci fossero persone razziste immagino che il ragazzo sarebbe stato lasciato fuori, non sarebbe stato fatto entrare. Assurdo parlare di razzismo: da noi lavorano anche persone che non sono nate in Italia. Non abbiamo niente a che vedere col razzismo, anzi».

Intervistato, Marco spiega tutto nel dettaglio. «Era la prima volta che ci andavo. Eravamo con un gruppo di amici. Abbiamo pagato l’ingresso, siamo entrati e abbiamo lasciato le giacche al guardaroba e preso un drink al bar. A meno di un’ora dal nostro ingresso, mentre ce ne stavamo fermi, in piedi, uno dei buttafuori mi ha ordinato di uscire. No, nessun eccesso, niente che potesse giustificare questa imposizione. Ho chiesto spiegazioni, ma il buttafuori non me ne ha sapute dare. Così sono uscito». Quando Luca si accorge dell’accaduto, si dirige verso l’uscita per capire la situazione. «Il tuo amico sta fuori dal locale, se vuoi parlargli esci ma poi non puoi più rientrare», gli dice il buttafuori nel racconto della lettrice (confermato da Luca). Il ragazzo protesta e chiede spiegazioni, col solo risultato che l’uomo della security si spazientisce. «Mi ha spintonato tirandomi per un braccio e strappandomi pure la giacca», riferisce Luca. I due amici se ne vanno sconsolati.

Marco e Luca fanno sport a livelli importanti. Spesso viaggiano insieme proprio per questa stessa passione. «Se sono assieme vengono controllati entrambi con dovizia di particolari e con sospetto, ma se Luca viaggia da solo di solito fila tutto liscio», evidenzia la lettrice. «Sembra che Marco si sia abituato a certi trattamenti. Fa un sorrisetto, che immagino possa essere frainteso, non combatte e non protesta. Dovremmo fare una riflessione e non guardare le persone di colore con sospetto».

Perché Marco non combatte e non protesta? Che cosa gli succederebbe se reagisse? Come si sente quando qualcuno sfoga su di lui la propria paura del “diverso” e il proprio odio? «Semplicemente dispiaciuto. Mi dispiace che nel 2022 ci ritroviamo ancora a parlare di razzismo».













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