Storia

«Io, figlio di partigiani cerco di capire cosa spinse i ragazzi di Salò» 

La conferenza. Gianni Oliva presenta il suo libro “La Bella morte” martedì 26 ottobre 2021 alle 18 al TeviLab di Bolzano 



Bolzano. Alla fine della guerra, nel ‘45 gli americani misero in piedi un campo di prigionia a Coltano, vicino a Pisa. Vennero rinchiusi i fascisti catturati. Secondo le stime furono in 52mila ad entrarci e ad uscirci. Molti erano stati sorpresi nelle caserme, qualcuno in fuga, un buon numero anche armi in pugno. Erano, molti di loro, “ragazzi di Salò”, come , tanti anni dopo, nel ‘96, li chiamò Luciano Violante. In un tentativo, forse il primo, di distinguere non tra buoni e cattivi, ma tra progetti buoni e progetti cattivi. Tra i “pow” i prigionieri di guerra di Coltano c’erano anche Dario Fo, Raimondo Vianello, Walther Chiari , Enrico Ameri, il telecronista, De Mauro, il giornalista poi assassinato dalla mafia. Giovanissimi, erano nati e cresciuti dentro una macchina propagandistica che aveva loro insegnato la bellezza della morte per la patria, la fedeltà al duce. Dopo l’8 settembre entrarono per la gran parte volontari nella Repubblica sociale italiana, la Rsi. Perché? Ecco, domandarselo può far comprendere come a volte la storia si svela attraverso “le storie”. In questo caso le loro. A raccontarla e a raccontarle è Gianni Oliva nel libro “La bella morte, gli uomini e le donne che scelsero la Repubblica sociale“ (Mondadori, 296 pagine, 20 euro ), che presenterà martedì 26 ottobre 2021 alle 18 al TreviLab di via Cappuccini 28, insieme al nostro direttore Alberto Faustini, su invito della Biblioteca Provinciale italiana Claudia Augusta.  Oliva è uno storico, ha scritto libri importanti (Il tesoro dei vinti, Gli ultimi giorni della monarchia , La guerra fascista) ed è un democratico. È stato assessore regionale alla cultura in Piemonte, “nella giunta di Mercedes Bresso, lista Pd” precisa. Il papà è stato partigiano.

E dove?

Nelle brigate Garibaldi. Ha combattuto con Eugenio Fassino, sì il padre di Piero, dirigente comunista e poi sindacp di Torino. Erano nella val di Susa.

Perché, allora , i ragazzi di Salò?

Mio papà mi disse una volta: sai, Gianni, devo confessarti che ho fatto il partigiano per caso. E si ragionava sul fatto che tanti ragazzi italiani a 18 anni non potevano scegliere in base ad idee mature. Le idee sono poi maturate nei mesi.

E dunque ?

Come diceva Nuto Revelli, erano tutti figli del fascismo. E le cito anche Italo Calvino, il grande scrittore, partigiano nel ‘ 43...

Prego.

Scrive nei Sentieri dei nidi di ragno: “Quel furore antico che è in tutti noi è lo stesso che fa sparare i fascisti, con la stessa speranza di riscatto”. Poi aggiunge, e aggiungo anch’io: Ma allora c’è la storia. C’è che noi nella storia siamo dalla parte del riscatto, loro dall’altra.

Che riscatto inseguivano i ragazzi della Rsi ?

Quello dentro il combattentismo astratto di cui erano imbevuti. La lealtà alla parola data, la sacralità della patria e dell’onore, il rispetto per i caduti. Ma poi si intreccia, più fresco, il disgusto per il tradimento dell’8 settembre, la volontà di vendicarsi dei voltagabbana.

Ma cosa produsse la Rsi?

La guerra civile. Non fosse nata la repubblica di Salò, la resistenza contro l’invasore tedesco avrebbe avuto un altro corso. Spaccò le famiglie.

Perché ha scritto questo libro?

C’è una vulgata storica antifascista e poi c’è l’antifascismo. Che non ha nulla a che fare. La ricerca è dentro una contraddizione dell’Italia democratica. Noi la guerra non l’abbiamo vinta, l’abbiamo persa. Basta guardare i nostri nuovi confini. Ci si è costruita una verginità che sta alla base, oggi ma soprattutto in passato, di una parziale illusione storica rispetto all’adesione al fascismo e alla guerra del nostro Paese.

Partendo da dove occorrerebbe guardarsi storicamente?

Magari dal 10 giugno 1940. Alla proclamazione della guerra ci fu un urlo che neanche avesse segnato Ronaldo . E non solo in piazza Venezia. E non certo solo dai fascisti organizzati o precettati. 20 anni di macchina del consenso avevano avuto effetto.

E i giovani volontari repubblichini si spiegano con questo?

Anche. Non erano corpi estranei al gran corpo del Paese. Ma figli di quella educazione. La scelta da che parte stare fu spesso istintiva nei giorni dopo l’8 settembre. Anche se tanti poi, col passare dei mesi, compresero il senso della lotta antifascista.

E perché invece tanti restarono nelle brigate nere?

Il mito della bella morte, l’eroismo nel rimanere a guardia di una causa persa ma nella quale si era creduto. C’è di tutto. Soprattutto stereotipi.Chiedersi perché ci sono stati, questi giovani fascisti, ci consente oggi di fare un esame di coscienza. Non fu tutta colpa di Mussolini, il fascismo e la guerra. Ci sono dentro tanti italiani.

Lei ha un debole per le cause perse?

Beh, mi affascina anche la storia dalla Legione.

Intende la Legione straniera ?

Eh, certo. Una storia di vinti. Oggi una storia raccontata spesso da destra. E anche ieri, visto che ci andarono molti ex nazisti, o fascisti come Bottai. Ma, ecco le contraddizioni che svelano i sottofondi e consentono di evitare manicheismi, nella legione andarono anche tanti eroi del nostro Risorgimento, come Carlo Pisacane nel 1831.

Ma anche in questo caso a raccontare le singole storie, anche la storia cambia qualche suo connotato , no?

Succede sempre così. C’è il peccato ma ci sono poi i peccatori . E non sempre è questione di buoni o cattivi. La differenza la fanno gli obiettivi. E i partigiani combattevano per quelli giusti. Ma, parlando di storie, ho notato che le vicende della guerra civile acquistano più verità in altri libri che non in tanti tra quelli di storia.

Cosa intende?

Parlo dei romanzi .

E quali?

Il controcanto più vissuto alla vulgata dei primi anni del dopoguerra lo dà, ad esempio “La ragazza di Bube “ di Carlo Cassola. Un oscuro delitto post bellico che mostra un’Italia inquieta e lacerata. O il “Partigiano Johnny “ di Fenoglio. Oppure “La ciociara “ di Moravia racconta un altro angolo di visuale dell’arrivo degli alleati.

Lei da che parte sta ?

C’è da chiederlo? Da quella giusta, quella di mio padre. Ma proprio parlando con lui, ascoltando le incertezze della sua scelta, poi pienamente maturata, ho scorto il senso di una possibile indagine proprio sul confine di quelle incertezze. Che toccarono milioni di ragazzi italiani dopo l’8 settembre. Ed è dentro quelle incertezze, che poi portarono a scelte contrapposte, che stiamo ancora. Raccontarle non può farci che bene ora che sappiamo. ( p.ca.)

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