«L’Autonomia? C’è bisogno di un tagliando» 

Palermo, candidatura sfumata nella paritetica «Revisione dello Statuto, occasione persa»


di Francesca Gonzato


BOLZANO. Francesco Palermo ha detto sì ai consiglieri provinciali di opposizione, che mercoledì lo hanno candidato per la Commissione dei Sei. L’asse della maggioranza Svp-Lega ha avuto la meglio, come prevedibile, eleggendo Carlo Vettori per il gruppo italiano e Meinhard Durnwalder per il gruppo tedesco. L’ex senatore e presidente della Commissione dei Sei ha ripreso l’attività all’università di Verona e all’Eurac. Continua a occuparsi di autonomia speciale come ricercatore. Non ha chiuso la porta all’impegno pubblico. «Non sparisco, se saltano fuori cose interessanti ci sono». Abbiamo sentito Palermo sulla prossima stagione della Commissione dei Sei e sulla visione dell’autonomia. Nella scorsa legislatura si era speso per la riforma dello Statuto, che resta una grande incompiuta ed è uscita dai radar.

Avere accettato la candidatura per la Commissione dei Sei è stata una sorta di provocazione?

«No, perché?».

Lei è stato il presidente della commissione uscente. La Svp è stata «costretta» a scegliere tra lei e Vettori, neo alleato leghista, con esisto scontato.

«Non è stata una provocazione o una sfida. Mi è arrivata una proposta seria da diverse persone, che ho accettato. Sapevo di non avere chance, ma provocazione sarebbe candidare qualcuno che non ha alcuna attinenza con la paritetica. Nella scorsa Commissione dei Sei abbiamo lavorato molto, è un impegno che avrei ripreso volentieri».

Le opposizioni in aula hanno criticato il «gioco delle poltrone» sulla Commissione dei Sei.

«Bisogna essere onesti. La Commissione dei Sei non è mai stato un posto in cui entri perché sei bravo, me compreso. È sempre stata una carica molto politica, e dal punto di vista della Svp è meglio non avere il tavolo affollato di gente che ne capisce troppo. Loro metteranno Schullian e Durnwalder, per quanto li riguarda come competenze basta e avanza. Altre persone che ne capiscono molto rischiano di essere un intralcio, come è stato in passato. Dire che è una commissione molto politica non è d’altronde una diminutio. Le commissioni paritetiche esistono anche nelle altre regioni autonome, e quelle sì sono composte solo da esperti, giudici, professori, tecnici. Peccato che non combinino nulla».

Perché no?

«Perché scritta la norma, in cui ti aiutano gli uffici provinciali o regionali, inizia il dialogo con i ministeri, da cui solitamente arriva un “no”, perché lo Stato centrale cede a fatica pezzi di potere. È lì che inizia la trattativa politica, già nella commissione dei Sei o dei Dodici. Se in cinque anni abbiamo prodotto 22 norme di attuazione è perché funzionava il rapporto politico. Come fa intuire Durnwalder nella vostra intervista, la nuova commissione probabilmente otterrà meno. Durante l’ultimo governo Berlusconi non venne approvata una sola norma di attuazione».

Si riparte dalle norme di attuazione sulle agenzie fiscali e la toponomastica.

«Si dice sempre che la norma di attuazione sulla toponomastica si è arenata a causa di Roberto Bizzo, mentre in realtà sono stato io come presidente a decidere di non metterla in votazione, perché su un tema così sensibile non intendevo procedere a colpi di maggioranza, non va bene e non ho voluto farlo. Non mi sono fatto molti amici».

Si è pentito?

«No. Se posso permettermi un suggerimento ai miei successori, non cercherei forzature sulla toponomastica. La norma è un buon compromesso, credo che sia approvabile senza quegli stupidi allegati di nomi».

Condivide le critiche sull’assenza di trasparenza che circonda i lavori della paritetica?

«Non è quella la sede della trasparenza, ed è anche un bene: si può litigare e arrivare a una mediazione senza che finisca tutto in piazza. Si può lavorare per avere più trasparenza, con relazioni periodiche al consiglio provinciale e audizioni: con Lorenzo Dellai, presidente della Commissione dei 12 avevamo iniziato».

Lei aveva scommesso sulla riforma dello Statuto. La Convenzione sull’autonomia è finita in nulla e nelle trattative di giunta il tema non è semplicemente entrato. Cosa significa questo?

«È un grave errore. Rischiamo di trovarci con un ferrovecchio».

Autonomia fuori giri?

«Basterebbero alcune modifiche ben fatte, non serve un ripensamento, ma una manutenzione».

Lei aveva proposto la scuola trilingue come modello facoltativo. Nel patto tra Svp e Lega è prevista invece la revisione del modello Clil.

«Siamo sempre lì. Si fa politica per oggi e domani o per le prossime generazioni? Ci si nasconde dietro l’alibi che “non ci sono le condizioni”, e vale per gli schieramenti di ogni colore. Sì, è difficile cambiare le cose, ma puoi fare delle scelte strategiche o puoi tirare a campare».

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