L’Autonomia si salva con gli “italiani”

In 400 al dibattito del Pd. Kompatscher: «O stiamo uniti, o perdiamo». Bressa: «Attenti a come vi muovete a Roma»



SEGUE DALLA PRIMA. «E non ci sarà - ha detto il presidente Kompatscher - per la semplice ragione che "voll", cioè pienamente autonomo, non sarà più neppure lo Stato con questa Europa».

E aggiunge invece: «L'autodeterminazione resta all'orizzonte ma non è un fine assoluto. Il fine è che tutti stiano bene». Ecco cosa succede di nuovo quando anche gente come il presidente o comeKarl Zeller, il senatore-bulldozer, guardano stupiti tutti questi italiani con gli occhi bene aperti. E in cima alla Val d'Isarco, non a Don Bosco. Carlo Costa non stava più nella pelle. È stato lui a organizzare questa serata solo apparentemente periferica su «L'Autonomia (scritta in maiuscolo) che verrà», chiamando anche Gianclaudio Bressa, sottosegretario agli Affari regionali e Alberto Faustini, direttore dell'Alto Adige (che da ormai due mesi ospita ogni giorno editoriali e articoli su questo tema).

Costa, Obmann del Pd brissinese e gran tessitore della campagna per le comunali, ha voluto mostrare il volto territoriale del partito. «Era importante dare un segnale», chiariva Tommasini arrivato ad ascoltare. Di che tipo? «Se si riforma qualcosa di così importante per la nostra vita come lo Statuto - ha aggiunto proprio Carlo Costa- allora meglio far partecipare più gente possibile. E non solo la nostra gente. Forse noi tutti non eravamo più abituati a farlo...».

Questo il senso dell'operazione. Ma anche il tratto inedito che Costa pare voler imprimere a questo 2015 pieno di passaggi decisivi, dalle elezioni alle riforme statutarie. Sulle quali, invece, l'unanimità è ancora un'illusione. Zeller e Bressa se le sono dette, ad esempio. E non sembrava un teatrino anche se, sollecitato da Faustini, il senatore del limone spremuto a più non posso, ha mostrato il regalo (una sciarpa di Dolce e Gabbana, «che può scaldare e proteggere, ma anche strozzare», ha chiosato Faustini) fatto al viceministro, 59 anni suonati da ieri . «Basta urlarmi nelle orecchie» implorava Zeller. Bressa urlava perché, a suo modo di vedere, la Svp sbaglia a mettersi a riformare lo Statuto subito e a farlo da sola, senza portarsi dietro in questo passaggio di ridisegno della Costituzione voluto da Renzi anche le altre speciali: «Ragazzi andate a sbattere se non difendiamo l'autonomia ben dentro la Repubblica, andando a Roma e in parlamento accanto alla Sicilia, al Friuli e a tutte le altre». Perché questo si è anche capito, l'altra sera. Che "Autonomia che verrà" deve avere un percorso interno ed uno esterno. Quello esterno riguarda noi e lo Stato. E dunque il riempimento dei "buchi" lasciati aperti dalla riforma federalista del 2001 rispetto a quella che sta nascendo. E che si giocherà ( su questo tutti hanno concordato) sulle norme di attuazione. Ma la Svp vuol condurla in solitaria, il Pd no.

«Ma - ha voluto ricordare Kompatscher - Napolitano, quando l’ho incontrato a Merano insieme a Durnwalder, mi ha detto che noi siamo speciali tra le speciali. E dunque specialissimi». E non si dovrebbe correre pericoli. Il percorso interno invece è lì che ci aspetta. Una commissione tecnica appronterà le cornici normative ma sarà la convenzione a discuterne poi, un istituto a metà strada tra quella rivoluzionaria francese (con tutti gli strati sociali rappresentati) e quelle demo-repubblicane americane. «Più politica e meno diritto», ha insistito Bressa, anche in questo percorso. «Sussidiarietà e solidarietà», ha aggiunto Costa. E Kompatscher: «Gli italiani erano preoccupati con l'autonomia dinamica. Ora si deciderà invece tutti insieme. E avverto crescere, anche tra gli altoatesini, un patriottismo dell'autonomia. Ricordo Habermas: riconoscersi nei valori, non nei confini». Ma poi Faustini ha lasciato spazio agli interrogativi. «Sono preoccupato - ha detto ad esempio “un italiano della Venosta” (così si è autodefinito)- perchè intorno a me vedo crescere l'estremismo dei giovani tedeschi vicini ai Freiheitlichen e alla Klotz». E ancora: «Che si fa con la proporz? Resta o se ne va?». «Attenti- ha risposto il presidente- la proporz è stato uno strumento di pacificazione». Parafrasando poi la frase di Churchill sulla democrazia: «Non è una bella cosa ma è la migliore in circolazione». Mischiati, in ascolto, i sindaci di Bressanone e anche qualcuno della Bassa, Pd di città e di periferia. Con la Artioli annidata in seconda fila, tra Pürgstaller e Pedron. Zitta, questa volta.

Paolo Campostrini













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