L’esperto: «Erano slegati ma non meno sicuri»

La guida gardenese Ivo Rabanser: «Senza corda solo per minimizzare il pericolo» «Durante certe salite è fondamentale ridurre i tempi, si aumenta la sicurezza»


di Davide Pasquali


BOLZANO. «Erano slegati? Non è solo la corda a portare sicurezza. C’è anche il fattore tempo da tenere in grande considerazione: in un tratto di parete a rischio crolli o slavine è decisamente meglio andare slegati e impiegare dieci minuti anziché legati facendo sicurezza ma mettendoci mezz’ora». Lo spiega la guida alpina gardenese Ivo Rabanser, da trent’anni uno dei più forti alpinisti in attività in Dolomiti e dintorni, dove ha aperto un numero impressionante di nuovi, duri itinerari esplorativi, in ambiente selvaggio. Non vuole entrare nel merito della tragedia della val di Vizze, Rabanser. «Non c’ero, non posso dire». Dall’alto della sua esperienza può però spiegare un fatto incomprensibile a chi non pratichi l’alpinismo: perché mai i quattro fossero slegati. «Anche il fattore tempo è fondamentale ai fini della sicurezza. Specie se si sta salendo una parete dove ci sono palesi pericoli oggettivi, ossia indipendenti dal soggetto che sale. Se devo passare sotto un seracco instabile non è affatto la stessa cosa se ci metto mezz’ora o solo dieci minuti».

Più tempo impiego, più rischio. Dunque, salire slegati non è sinonimo di negligenza.

«Assolutamente no. Non si può giudicare a priori incosciente chi non sale in cordata. Così si va più veloci e il tempo di esposizione al rischio si riduce. Fra il resto, ci sono condizioni in cui esistono anche scarse possibilità di fare sicurezza, e allora legarsi a una corda serve a poco o nulla».

Se casca uno, vengono giù tutti, perché nessuno è ancorato alla parete... In questo caso, comunque, dovrebbe trattarsi di una slavina. È usuale salire questo tipo di vie in autunno?

«Un tempo no, si facevano in estate. Poi, col riscaldamento globale, in estate è diventato pericoloso: poco ghiaccio, vivo, roccia instabile. Così, le salite in alta quota si sono spostate nella tarda primavera o all’inizio dell’inverno. Per dire, la Nord dell’Eiger ormai si sale in aprile/maggio, mica in estate. In autunno certe salite sono meno usuali, ma le si può ben fare».

Di norma si pensa che le valanghe accadano in inverno...

«Spesso si verificano anche in autunno, dove il pericolo è più latente, meno visibile. Le nevicate sono meno consistenti, ma magari, anche con un piccola nevicata, per via del forte vento si generano accumuli pericolosi, con conseguenti slavine. Che a volte purtroppo sono mortali, come in questo caso».

Un discorso un po’ cinico...

«Purtroppo le cose stanno così: ogni tot che fanno questo genere di salite in un anno, un tot non torna a casa. Ma non mi si parli di montagna assassina. Purtroppo, la tragedia fa parte del gioco. E non è comprensibile a chi non fa alpinismo. Siamo abituati a un mondo dove i pericoli sono minimizzati al massimo e a dare sempre la colpa a qualcuno o qualcosa. Non si capisce che una persona, volontariamente, frequenti certi luoghi a proprio rischio e pericolo. L’uomo moderno cerca sicurezza e comodità e concettualmente non capisce perché di propria spontanea volontà ci si esponga a situazioni complesse per cercar di venirne fuori. È come per chi è pigro: non capirà mai chi corre le maratone».

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