Covid

L'esperto: «Troppi mesi di ansia, adesso è tempo di comunicare la speranza» 

L'intervista a Peter Koler (Forum prevenzione): «Molti contagi perché il bisogno di socializzazione è in conflitto con le regole» La clausura dei ragazzi: «Da marzo la loro vita è congelata. Pagano un prezzo alto, è sbagliato accusarli di leggerezza»


Francesca Gonzato


BOLZANO. Dieci mesi di paura e angoscia sono troppi. Appena si crea un varco nei divieti, le persone ne approfittano. I numeri risalgono. E arrivano nuove chiusure.

«È tempo di dare un segnale di speranza, per tenere duro negli ultimi mesi di pandemia. Fissiamo la luce in fondo al tunnel»: Peter Koler, direttore del Forum prevenzione, è psicologo, con specializzazione tra l’altro in psicologia dell’emergenza. Nella pandemia il Forum prevenzione è impegnato in diversi progetti, a partire dalla piattaforma di supporto psicologico «Non sei da solo».

L’Alto Adige deve affrontare ancora centinaia di casi al giorno di nuovi positivi al Covid. Le chiusure non sono sufficienti. I contagi attuali dipendono largamente, secondo la Asl, dalle cene di Natale e Capodanno, feste abusive, assembramenti davanti ai bar. Molte persone rispettano le regole, ma evidentemente non abbastanza. Cosa ne pensa?

Da un lato abbiamo le regole, dall’altro lato abbiamo i bisogni umani fondamentali, che in periodi come Natale e Capodanno presentano il conto. Le persone rassicurano se stesse indossando la mascherina al supermercato e tenendo comportamenti prudenti all’aperto, “ma a Natale sto con i miei, in fondo saremo solo in cinque”. Il resto lo fanno un paio di bicchieri di vino, che abbassano le difese e riducono la paura. Infatti i contagi ora si sviluppano soprattutto nel contesto familiare.

Il Covid-19 è tra noi da quasi un anno. Non abbiamo conosciuto abbastanza persone malate o morte, non abbiamo visto abbastanza immagini delle terapie intensive per vivere con la massima prudenza?

Dopo molti mesi di pandemia, il bisogno primario di socializzazione incalza e 500 contagi al giorno, su una popolazione di 500 mila, potrebbero non dare una idea di minaccia incombente. Scatta la rassicurazione “in casa sono al sicuro”.

I divieti non sono sufficienti, senza la responsabilità individuale. La Provincia, secondo lei, ha fatto abbastanza nella comunicazione?

È stato investito molto denaro. Fino ad ora la comunicazione ha puntato sul pericolo e sull’ansia, una modalità che perde di efficacia nel lungo periodo. La famosa campagna istituzionale della Germania ha puntato su un messaggio ironico: l’eroe dei nostri tempi è colui che resta sul divano a guardare film, riducendo al minimo i contatti sociali. Capisco che in Italia, dopo Bergamo, sia molto difficile maneggiare i toni dello humour. È arrivato il vaccino, la comunicazione dovrebbe spingere sul rispetto delle regole e sulla vaccinazione, è l’ultimo sforzo che ci viene chiesto.

Per i ragazzi è più difficile rispettare i divieti, visto che il Covid li colpisce in forma leggera?

Il problema infatti è il rischio di contagiare genitori e nonni. Oltre a tutto il resto, devono pure sopportare lo stigma di comportamenti incoscienti. Non è così, la maggior parte dei ragazzi si sta comportando in modo responsabile. È vero invece che la loro vita quotidiana è congelata da marzo: in classe quando si può, niente sport, poche uscite da casa. Hanno l’immagine di una società ferma, che non riesce a gestire questa crisi, non riescono a immaginare come sarà il loro futuro.

Per le ragazze e i ragazzi quanto pesa un anno di vita reclusa?

Molto. Tra i 15 e i 17 anni c’è il culmine dell’adolescenza, con le prime uscite serali, i primi amori, la trasformazione di colui che era un bambino. Bene, la pandemia dimezzerà questo tempo... Qualche festa abusiva, quando c’è, non compenserà minimamente tutte le esperienza perse. “Mancanza” è la parola simbolo della pandemia, riguarda tutti noi, non solo i ragazzi. Ecco perché, appena si ravvisa una possibilità di allentamento delle regole, la responsabilità individuale è messa a dura prova.

Gli universitari saranno gli ultimi a rientrare. Teme che la didattica a distanza possa provocare un abbandono degli studi?

Ho una docenza a Bressanone, gli studenti sono bravissimi, si organizzano, rispettano le regole, aspettano e si fanno sentire molto meno delle categorie economiche. Ho una preoccupazione per le matricole, questo sì, perché hanno perso il momento magico dell’inizio della vita universitaria, qui qualche abbandono ci potrà essere.

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