L'INTERVISTAGrando accusa: "Ipes da rifondare"

Il funzionario: "Da anni sollecitavo controlli sugli appalti. Sono sereno: sui miei conti non troveranno niente. Ho sempre lavorato per il bene dell’Istituto. I collghi? Commosso dal loro affetto. Tutte le sere venivano sotto il carcere con la mia compagna a farmi forza"


Antonella Mattioli


BOLZANO. Signor Grando, come sono stati questi 68 giorni in carcere?
«Un’esperienza incredibile che mi ha consentito di conoscere un mondo sconosciuto».

Quanti eravate in cella?
«Sette in 40 metri».

Chi erano i suoi compagni?
«Mi sono trovato con immigrati e Sinti. Qualcuno lo conoscevo già, perché avevamo avuto delle discussioni per l’assegnazione degli alloggi. In qualche caso siamo anche diventati amici. Adesso voglio fare qualcosa perché l’opinione pubblica conosca i problemi dei detenuti e se ne faccia carico. Dietro le sbarre c’è gente in gamba, bisogna dare a queste persone una possibilità di riscatto. Ne parlerò in una conferenza stampa».

Quando la terrà?
«A breve. Mi concedo qualche giorno di relax con la mia compagna nella mia casa a Ronchis. Intanto la organizzo: voglio una cosa fatta bene».

Parlerà anche dell’Ipes.
«Ovviamente».

Cosa dirà?
«Che l’Ipes va rifondata. Da anni continuavo a sollecitare un cambiamento del sistema di assegnazione dei lavori e dei controlli».

Il cda dell’Ipes ha appena varato la riorganizzazione interna.
«Non servirà a nulla. Mi dispiace perché ci lavoro da anni e ho fatto la mia parte per far crescere l’Ipes. Ma non ci sono alternative: l’Istituto va rifondato».

La Procura l’accusa di aver ottenuto regali e soldi per garantire a piccoli imprenditori e artigiani l’assegnazione dei lavori negli alloggi Ipes.
«Assurdo. Controllino i miei conti, non troveranno nulla. A meno che qualcuno non pensi che ho nascosto i soldi alle Isole Caiman. In ogni caso la Procura farà la sua parte, io la mia. Chiarirò tutto, perché non ho nulla da nascondere. In questi anni ho sempre e solo lavorato nell’interesse dell’Istituto».

Questa mattina (ieri, ndr) è arrivato nella sede Ipes di via Milano ed è stato accolto dalla solidarietà dei suoi colleghi: se l’aspettava?
«Certo. La stima nei miei confronti da parte di colleghi e di tante altre persone, non è mai venuta meno. Ma lo sa cosa succedeva ogni sera, per due mesi, sotto le finestre della casa sul fiume?».

Scusi, cos’è la casa sul fiume?
«Il carcere. Io l’ho ribattezzato così».

Cosa succedeva?
«Tutte le sere, tra le 18.30 e le 19.15, per due mesi la mia compagna e i miei colleghi venivano sotto le finestre della casa sul fiume che si affaccia appunto sul Talvera, si sedevano sulla panchina e mi gridavano tutta la loro solidarietà».

Le giornate passate in carcere devono essere interminabili.
«Basta organizzarsi. Ne ho approfittato per leggere una montagna di libri. Approfondire la conoscenza del mio inglese, esaminare il fascicolo che mi riguarda, studiare la riorganizzazione varata dal cda dell’Ipes. Poi, dalle 17.30 alle 18.30, mi concedevo un’ora d’aria».

E la visita del presidente Pürgstaller?
«Abbiamo parlato di questioni di lavoro e concordato che resterò in ferie fino al 3 settembre. Non è ancora stato deciso dove verrò ricollocato». (an.ma)













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