L’Islam tollerante Il messaggio di pace dei senegalesi

La comunità si è ritrovata al PalaMazzali: «Rifiutiamo ogni tipo di violenza. Tutte le religioni vanno rispettate»


di Alessandro Bandinelli


BOLZANO. «Salaam alekum» salutano chi si presenta sulla porta del PalaMazzali gli organizzatori della festa senegalese: «Alekum salaam», rispondono i convenuti. È la quarta edizione della manifestazione dedicata alla memoria di Cheikh Ahmadou Bamba, fondatore del Muridismo, la principale confraternita islamica del Senegal, una corrente sufi moderata e tollerante.

«Nel Muridismo il rispetto per l'altro e il rifiuto della violenza è alla base di tutto.» Spiega Mamadou Gaye 44 anni, da 25 vive Bolzano, lavora come mediatore culturale e fa parte dell'associazione che ha organizzato la manifestazione. Prosegue Gaye: «Prima di Gandhi e di Martin Luther King, è stato il Muridismo a elaborare il concetto di nonviolenza come strumento di lotta, e ha avuto un ruolo essenziale nel processo che ha condotto il paese all’autonomia dalla Francia.». La festa si è tenuta sabato pomeriggio nel parterre della palestra, dove ci si deve togliere le scarpe prima di entrare.

Qui il freddo pavimento è stato rivestito di tappeti persiani per consentire agli uomini di stare comodamente seduti a terra mentre ascoltano i sermoni degli studenti coranici, o discutono tra loro sorseggiando un tè alla menta o un caffè allo zenzero. Qualcuno va a rendere omaggio all'ospite d'onore giunto apposta in Italia per l'occasione: Mouhadou Bachir Mbacké, nipote del Califfo di Touba - suprema guida spirituale della confraternita.

«In Senegal il 95 per cento della popolazione è di fede islamica, ma è molto rispettosa delle altre minoranze religiose. La convivenza tra le sue 12 differenti etnie è molto pacifica, e anche all'estero è una delle comunità più integrate». Spiega il nipote del Califfo. Intanto, sul fondo della palestra, le donne chiacchierano tra loro e badano ai bambini. «Questa festa», ci tiene a sottolineare con soddisfazione l'organizzatore, «è stata realizzata solo grazie le offerte dei fedeli, senza alcun contributo pubblico, anche per il palazzetto paghiamo l'affitto. La nostra religione ci insegna a essere indipendenti».

Molti gruppi sono venuti qui da Brescia, Verona, Padova, tutti sfoggiano l'elegante abito tradizionale, il babou. Nel frattempo sopraggiunge un altro gruppo da Bergamo. I nuovi arrivati vengono indirizzati nella sala di sopra, dove possono rifocillarsi dopo il lungo viaggio. Qui, da una stanza adiacente, escono grandi piatti fumanti dal profumo invitante e ricolmi di riso speziato, pesce e verdure: è il Tiep bou Dienn il piatto nazionale del Senegal. Gli invitati mangiano insieme dallo stesso piatto. «Mangiare nello stesso piatto significa essere fratelli. Si mangia più volentieri, si apre il proprio cuore al vicino.» Dice Mohammed uno dei pochi non senegalesi. Lui, tunisino, vive e lavora in Alto Adige, per lui è molto importante il confronto tra differenti culture: «Quando sono venuto qui nel 2003 c'era tanta diffidenza nei confronti degli stranieri. Ora le cose stanno lentamente migliorando, ma c'è sempre molta ignoranza soprattutto fuori Bolzano». Mohammed fa l'operaio in una fabbrica a Silandro: «Troppi non vedono oltre queste montagne, una volta ho chiesto a mio collega di qui se avesse mai visto Roma, mi ha risposto “Che mi cambia vedere Roma?” -ride amareggiato Mohammed, «Ignoranza, capisci?». È l'ora della preghiera si riversano tutti nella palestra, sotto gli striscioni delle squadre di pallavolo locali. Più tardi ci sarà ancora spazio per i canti, la serata è lunga e proseguirà fino a tarda notte.

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