La storia

L’umanità dei volontari che accompagnano gli anziani a vaccinarsi 

A tu per tu con gli autisti dell’Auser. «Siamo in prima linea, ma nessuno ha pensato di vaccinare anche noi»


Davide Pasquali


BOLZANO. «Quando andiamo a prenderli a casa sono tutti piuttosto agitati. Poi, una volta vaccinati, sono contenti come le pasque, perché sentono di poter riabbracciare i nipoti, oppure pensano che adesso potranno andarsene al mare o nella seconda casa. Insomma, è come vederli rinascere». Lo raccontano i volontari dell’Auser di piazza Don Bosco 1, che ogni giorno accompagnano gli anziani a vaccinarsi alla Fiera e che sprizzano umanità da ogni singolo poro, come d’altra parte l’intero staff del centro vaccinale della Fiera, dagli alpini al personale Asl e paramedico. È, questo, solo uno dei tanti servizi operati dall’associazione, ma se ci è consentito molto più delicato di tanti altri, perché le sensibilità in gioco col Covid sono molto più elevate del normale. Un servizio svolto come detto con grande umanità, accolto con estrema gratitudine, ma che forse necessiterebbe di maggiore attenzione da parte di chi prende le decisioni. Perché i volontari si espongono, gratis, e gradirebbero a loro volta essere vaccinati. Cosa, finora, non accaduta.

Sono le 8.50. Alla sede Auser a Don Bosco si igienizza il furgone, uno dei tre a disposizione. È giovedì e la guida stamattina tocca a Luciano Malfatti, coadiuvato da Mariagrazia Bruson. Montano, partono, destinazione via Firenze. Il diktat è arrivare qualche minuto prima dell’appuntamento delle 9, e fare pure uno squillo quando si è sotto casa, perché gli anziani preferiscono così. A prenotarsi per la prima vaccinazione del mattino è Maria Daniela Boni, 86 anni. La volontaria Auser la riceve in cortile, la prende a braccetto, la accompagna al furgone, dove l’autista ha predisposto un predellino metti e togli per agevolare la salita. Malfatti spiega: «Molti anziani hanno difficoltà a camminare, usano il bastone, non potrebbero mai e poi mai cavarsela da soli». In questo caso, da via Firenze raggiungere la Fiera coi mezzi pubblici è complicato, non esiste una linea diretta. «E i taxi costano e poi come fare a richiamarli quando hai finito? E non tutti possono contare su figli e nipoti». C’è chi è rimasto solo, motivo per cui l’unica chance è l’aiuto dei volontari.

Si monta, si va. Arrivati alla Fiera il furgone si ferma davanti all’ingresso principale, dove una solerte alpina capisce immediatamente: «Signora, la strada è lunga, forse sarebbe più comodo servirsi di una sedia a rotelle, ne abbiamo qui giusto una, con le ruote da gara». Battute, per stemperare l’agitazione. Aiutata dalla volontaria Auser, l’ultraottuagenaria si accomoda sulla sedia, prende l’ascensore, scende al piano inferiore, si fa condurre. Autista e volontaria non la lasciano sola un attimo. Punto di smistamento: occorre attendere qualche minuto. Poi, via libera. Ad accompagnare Maria è un giovane alpino, gentilissimo. Dentro, destra, sinistra. Fila breve veloce, anamnesi, fila breve veloce, altro box col medico che vaccina. Zac e tac. La protagonista è donna di poche parole: «E pensare che volevo venire da sola, meno male che ci sono questi angeli».

Angeli sì, e col sorriso. Ma come spiega la segretaria Auser Anna Ferretti, non è mica così semplice: «Siamo oberati, ché oltre alle vaccinazioni proseguono le attività di routine: li portiamo a visite mediche, fisioterapia». Mezzi e persone sono limitati. «Mi spiace a volte non poter fare di più, ma adesso abbiamo solo 8 autisti. Prima del Covid erano molti di più. Hanno dai 60 agli 82 anni, ma i più anziani o chi ha patologie ora ha fatto un passo indietro. Chi è rimasto fa più turni: si stanno dedicando in maniera encomiabile. Purtroppo, non siamo equiparati al personale paramedico e non viene riconosciuta l’importanza del servizio alla comunità. Perché prendiamo tutte le precauzioni, ma il rischio c’è». Stando a casa a farsi gli affari loro, i volontari sarebbero al sicuro. Qui invece rischiano. «Sarebbe il caso di vaccinarli».













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