La battaglia tra il vecchio e il nuovo

di Sergio Baraldi


Sergio Baraldi


Attorno al bilancio della Provincia non si sta combattendo solo un conflitto redistributivo, con alcune categorie penalizzate, l’economia in particolare, che protesta per il calo di risorse disponibili. Commetteremmo un errore, se leggessimo con questa chiave la polemica in corso sulle colonne del nostro giornale alla quale oggi risponde con un’ampia intervista il presidente Durnwalder. In realtà, lo scontro è più profondo: è la battaglia tra il nuovo e il vecchio, che arriva sull’onda delle trasformazioni che ci stanno investendo. La differenza tra i due conflitti consiste in una qualità diversa dello scontro: in una ci sono in gioco interessi che urtano alla ricerca di un equilibrio che sancirà vincitori e vinti; nell’altro c’è qualcosa di più, vale a dire un’idea di società e di futuro nella quale le risorse hanno una parte, ma non l’unica. Quello che vediamo messo in scena è un confronto strutturale tra il vecchio e il nuovo, tra chi interpreta la domanda d’innovazione della società altoatesina e chi invece ne rappresenta l’istanza conservatrice.
Questo scontro è orizzontale, divide la società, i diversi i gruppi linguistici. Ma divide soprattutto il mondo tedesco, come testimoniano le parole di Durnwalder nei confronti delle imprese e delle loro istituzioni. E dividendo il mondo tedesco, divide innanzi tutto la Svp.
Il confronto che separa mondi e esponenti di lingua tedesca testimonia l’importanza della posta in gioco. Con questo bilancio, il nostro territorio comincia a dire dove vuole andare, quali sono le sue priorità, quale la visione lo guida. E non potrebbe essere altrimenti visto che lo scenario internazionale è difficile, destinato a continui mutamenti. Ecco perché sulla linea del vecchio e nuovo si coagulano interessi, visioni, psicologie. La partita si giocherà su questa linea. Lo scontro è pubblico, e questo è un bene: i cittadini hanno la possibilità di comprendere chi vuole che cosa e quale direzione vorrebbe imprimere alla società. Ma è pubblico per un’altra ragione: la Svp ha sempre governato con il metodo della negoziazione, che rimanda a un’idea di cogestione della società, ma riesce sempre meno a garantire la sintesi del compromesso. E’ l’arte perduta dello scontentare il meno possibile da parte della Svp che sta facendo emergere la frattura tra vecchio e nuovo. Perché non solo interessi? Lo ha spiegato il presidente della Camera di Commercio Ebner con una battuta, quando sono stati presentati i dati di una economia altoatesina che regge meglio di altre nel Nordest: “Chi fa da sé fa per tre”. E il presidente degli industriali Pan più di una volta ha accennato al fatto che l’economia, intanto, va per la sua strada. L’intervista a Durnwalder non mi pare riesca a ricomporre questa divaricazione, anzi potrebbe accentuarla. Forse il nostro presidente sottovaluta il rischio di essere arruolato sul fronte del “vecchio”, indicando una linea che eredita, con qualche correzione, l’impostazione del passato, cioè la difesa dell’esistente. I paesi guida dell’Europa, Germania Inghilterra Francia, scelgono di por mano alla spesa per trasferire risorse agli investimenti strategici.
E l’Alto Adige? Sembra fare quasi il contrario: toglie risorse ai settori strategici, come economia innovazione scuola e cultura, e continua a investire sull’amministrazione o vara riforme che non sono vere riforme come per la sanità. Non credo che il problema delle imprese si possa semplificare con il tentativo di ottenere più risorse. Esse competono nel mondo, sanno che la sfida non riguarda più solo le singole aziende. La loro scommessa è diventata una scommessa collettiva: significa puntare sulle proprie capacità, ma anche avere fiducia sull’affidabilità della rete sociale, del sistema di cui fanno parte. Le imprese, cioè, hanno bisogno che questa interdipendenza diventi una condizione di forza, che la società faccia un gioco di squadra, e che i leader sappiano selezionare, progettare i cambiamenti e riescano a farli diventare un obiettivo condiviso. Le imprese altoatesine hanno fatto bene il loro mestiere, ma capiscono che occorre avere alle spalle condivisione di conoscenze, elaborazione di mete e significati comuni, forme sostenibili di distribuzione dei rischi. L’economia ha bisogno di una innovazione di sistema, nella quale la ricerca, l’università, le infrastrutture materiali e immateriali, la capacità di fare rete e, come opportunamente suggerisce il professore Palermo nel suo articolo, sinergie con altri territori, diventi il progetto strategico attorno al quale ruoti il sistema. Hanno torto? A mio avviso, hanno molte ragioni. Per questo il presidente della Sparkasse Plattner liquida il bilancio come un documento privo di vere riforme strutturali. E così gli altri. Ma questo è il mondo tedesco che compete in Europa, che sa non c’è niente di peggio che non investire nel futuro. Ma lo sa l’Svp? Certo che lo sa. Ma ha paura. Perché i suoi riferimenti elettorali e sociali sono ancora i sindaci dei piccoli paesi, il mondo rurale, le valli, cioè un mondo conservatore che non crede che il tempo delle risorse abbondanti sia finito. E la Svp ha paura a dirglielo, abdicando alla responsabilità di partito di governo. S’illude che una politica dei piccoli passi, degli “assaggi” di crisi, sarà poi sufficiente a far digerire la medicina. Per cui di fronte all’assessore Widmann che ipotizza un taglio di 1500 dipendenti provinciali, Durnwalder arretra i 450. Appunto, la medicina a piccole dosi. Solo che non si affrontano i problemi posti dall’Europa e dalla globalizzazione con i sindaci dei piccoli paesi e con le valli. Anzi, quando probabilmente le difficoltà cresceranno e il compromesso diventerà sempre più insoddisfacente per uno spazio sociale che s’allarga, saranno proprio loro i primi ad addossare ogni responsabilità alla Svp.
Come ha scritto il nostro Paolo Campostrini, viziati da un benessere duraturo, sia la politica sia settori della società faticano ad accettare la verità del cambiamento che tocca tutti. Le risorse non sono più abbondanti. Il nostro apparato amministrativo costa molto, drena troppe risorse in stipendi. La sanità stenta ad accettare una ristrutturazione nella quale la qualità del servizio sia la nuova stella polare. Il confine tra nuovo e vecchio si situa in questo difficile confine: tra chi oppone resistenza alla trasformazione, e chi invece vorrebbe governarla per evitare che il prezzo da pagare diventi più alto e per aprire nuove opportunità a tutti. Il bilancio sembra rispecchiare un Alto Adige che corregge qualche eccesso, ma che allontana da sé la sfida. Non vuole vedere, un’autodifesa che la psicanalisi conosce bene. E’ un bilancio che non prepara il domani, quindi rischia di suscitare ugualmente delusione, perché la politica non parla il linguaggio del coraggio. Ma la politica italiana è in grado di aprire un capitolo nuovo? Perché non provano i partiti italiani, in primo luogo il partito di governo, il Pd, ad ascoltare le ragioni di chi vorrebbe il nuovo e ad avanzare una proposta? I fenomeni di fondo, come l’immigrazione, cambiano il volto della società, come spiega nel suo interessante articolo il prof. Fazzi.
E’ l’occasione per far emergere una visione diversa del futuro. Allo stallo della Svp non corrisponde un immobilismo sociale. Anzi, il ceto politico rischia di apparire inadeguato a rappresentare una società inquieta. Questa sarebbe l’operazione che attende il suo interprete: trasformare con un’elaborazione autonoma le aspettative di una parte della società (il particolare) in un interesse generale (l’universale). Una volta si chiamava egemonia.

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