«La chiesa deve cambiare» Rimettiamoci in gioco»

La riflessione dI Muser: «Più sostanza e meno forma, come insegna Gesù» Valore della domenica, vicinanza ai gay, recupero dei fedeli: le nuove frontiere


di Paolo Campostrini


BOLZANO. Arriva il primo Natale con Francesco. E nelle chiese, anche nelle nostre, si sente meno profumo di incenso e più desiderio di mettersi in gioco. Dice il vescovo: «Il Natale? E' Dio che diventa uno di noi, ecco cos'è. Lui che si mette in gioco. Allora sarebbe ora che lo facessimo anche noi». Ivo Muser parla accanto a un presepio. «Se Gesù è in una stalla, perché anche la Chiesa non deve essere più sostanza e meno forma?». Meno candele e più porte spalancate sul mondo. Il vescovo vuole, come il Papa, una chiesa coraggiosa. E dice tante cose importanti: che affrontare la pedofilia guardandola in faccia «ci ha fatto bene», che la politica deve dare un segno di vicinanza alla gente in crisi, facendo un passo indietro sui costi e uno avanti sulla responsabilità, che anche per i gay lo specchio è il Vangelo e l'umanità, che la crisi delle vocazioni sacerdotali si batte credendo tutti insieme e non lasciando la palla solo ai preti e che la domenica libera non è la Chiesa in politica ma un dono a noi stessi.

E' arrivato al momento giusto Francesco, come spesso accade nella Chiesa...

«Il Signore non lascia mai soli i suoi fedeli. E neppure noi preti. E' un dono, Francesco».

Ma il Papa ha anche detto parole chiare sui suoi uomini di chiesa.

«La Chiesa è una ecclesia semper reformanda. Siamo dentro i peccati del mondo. E siamo in cammino con i peccatori. Anche Dio si è messo in cammino con l'umanità. E' questa la nostra forza, la forza di noi cristiani. Un Dio che scende, non che sale».

Anche per questo è un Natale diverso?

«Stiamo arrivando alla sostanza. Dice il Papa: non innamoratevi dell'istituzione. Siamo chiamati a servire e a metterci sotto il Vangelo. Questo è il vero Natale».

Anche a Bolzano la Chiesa dice: fermatevi per le feste. E sembra che la Curia entri nella polemica politica e sindacale, negozi chiusi o no.

«Non diciamo solo un no e non vogliamo essere strumentalizzati. Diciamo un sì. Alla famiglia, alla riflessione, alla cultura. Come la messa: è un modo di incontrarsi più che un rito formale. Noi diamo un segno: fermiamoci un poco a riflettere. Ci farà proprio bene».

Ma se i negozianti si fermano, perché non dovrebbero farlo anche i baristi, i giornalisti, gli skilift? Sono cristiani di serie B?

«Di serie A! Distinguiamo tra lavori necessari, quelli che servono all'accoglienza ad esempio, da quelli che possono fermarsi almeno un giorno. Si tratta solo di buon senso. Non è una battaglia anti consumismo. La Chiesa non fa di queste scelte. Offre la possibilità di pensare: perché non torniamo a mangiare insieme in famiglia?».

Anche i politici avrebbero bisogno di riflessione, non le sembra?

«La politica è indispensabile, ma è importante che torni ad occuparsi dell'uomo, non di se stessa. Paolo VI diceva: è una nobile missione. Un impegno per la polis, ecco cosa dovrebbe essere. E se desse un segno anche sui suoi costi, in questo momento di crisi, sarebbe un ottimo segno».

La gente va in piazza..

«Perché ha paura. E perché si aspetta che la politica faccia di più. Ma attenzione: non basta brontolare».

Pensa ai forconi?

«Penso a noi, società. E' tutto un lamentarsi. E tanti dicono: perché non fanno? Sempre loro. E noi? E tu? Iniziamo, ognuno di noi, ad assumerci le nostre responsabilità. A impegnarci nel sociale, tra i nostri simili, a proporre. E non solo a brontolare».

La Chiesa non si muove sui gay.

«Si parte sempre dal Vangelo. Deve essere come uno specchio: ascoltiamo Gesù. Non giudichiamo, confrontiamo la nostra vita a quella degli altri, rispettiamo sempre. E io ricordo Sant'Agostino: odio il peccato non il peccatore. Non mi fraintenda. I gay non peccano in quanto tali. Il senso della frase è invece: io guardo l'uomo, la persona, non l'ideologia, le scelte politiche. E poi umiltà, condivisione. Questo è l'importante».

Sulla pedofilia il Papa è stato durissimo. Ma anche la nostra diocesi ha fatto scelte senza se e senza ma.

«Io dico: non nascondiamo mai le ferite. Si sanano solo se si guardano in faccia. Sono contento che sia scoppiata questa bomba anche dentro la chiesa. Siamo avanzati. E ora c'è una nuova sensibilità. Siamo tutti più coscienti e lucidi».

Anche in Alto Adige la crisi delle vocazioni è palpabile.

«E la guardo con preoccupazione. Ma quello che impegna i miei pensieri è la mancanza di fedeli, non di preti. Prima di tutto dobbiamo recuperare il senso del battesimo, dell'essere cristiani. Ognuno si carichi il proprio fardello, dia un senso al Natale, faccia propaganda fide, sia responsabile. Che senso ha andare a messa, se poi non si è cristiani tutto il giorno? Allora anche i preti torneranno, se la comunità cristiana riscoprirà il senso del suo impegno».

La vicenda Don Carli ha diviso la comunità. Ora che è giunta alla fine che ne pensa?

«Posso esprimere una mia personale convinzione. Penso che don Carli sia innocente. Lo penso profondamente. Questo non mi impedisce di rispettare le sentenze e il lavoro di tutti, in particolare dei giudici e degli inquirenti. E abbiamo sempre collaborato con loro. Ma il mio pensiero è che sia innocente».

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