La crisi allo specchio di Pd e Svp

di Sergio Baraldi


Sergio Baraldi


La Svp e il Pd sembrano vivere due crisi che si guardano allo specchio. Tutto lascia supporre che o ne escono entrambi o l’Alto Adige accumulerà ritardi che saranno i cittadini a pagare. La Svp non riesce a superare la sua debolezza strategica. Nonostante l’impegno sincero del presidente Durnwalder e del segretario Theiner, si coglie l’affanno a rispondere alla complessità di uno scenario mutato e incerto. Il punto è che la cultura, l’ideologia, la storia spingono la Svp ad applicare la logica di ieri alle sfide di oggi. Il Pd sembra consapevole degli ostacoli e delle opportunità che ci attendono, ma appare bloccato dai problemi interni, e dalla preoccupazione di dover sostenere un sindaco di cui conosce bene la mancanza di leadership. Questa doppia crisi converge su un punto: la rappresentanza del territorio, soprattutto della parte più dinamica che ha coscienza delle trasformazioni in atto e dei rischi che comportano. Nonostante le elezioni vinte, i voti raccolti, la linea di frattura oggi sembra proprio la rappresentanza. Per dirla con il geografo Allen J. Scott, l’Alto Adige appare come un “amalgama territoriale di economia e società in cerca di rappresentanza”. I cambiamenti in corso, le ripercussioni sul modello sociale e produttivo hanno innescato una molteplicità d’istanze che, alla fine, contengono il medesimo significato: una domanda di difesa.
Anche perché per alcuni l’Alto Adige è stato un guscio protettivo accogliente: basti pensare ai contadini. Questi ceti spesso reagiscono pensando di potersi tutelare dai mercati finanziari, tecnologici, delle merci che ci attraversano (e talvolta scuotono) seguendo linee di difesa valide fino a ieri. Emergono i sintomi di una sorta di repulsione sociale, come per l’immigrazione, che però si rivela sempre meno efficace a raggiungere l’obiettivo che si proporrebbe, vale a dire tutelare i “suoi”.
L’Unione Commercio fa la sua battaglia di ricorsi contro i centri commerciali senza tenere conto del fatto che i cittadini-consumatori, invece, desiderano un’offerta più ampia, una concorrenza che calmieri i prezzi, una maggiore libertà di scelta. E che se non lo trovano qui, si muovono, trasferiscono altrove reddito e lavoro. Il risultato è che le esigenze dei cittadini-clienti sono disattese. La stessa logica compare dietro i contadini di Bolzano che si oppongono alla crescita della città, schierandosi contro l’interesse di tanti, italiani e tedeschi, che vorrebbero invece case a prezzi più accessibili, quartieri vivibili e raggiungibili. La sofferenza di Svp e del Pd sta in questa tenaglia: come partiti di governo si rendono conto che dovrebbero progettare e decidere per il futuro ma restano prigionieri del “vecchio” che fa scattare l’abituale sindacalismo territoriale, che premia la posizione di rendita invece dei ceti produttivi o dei cittadini-consumatori. Il “vecchio” non riassume solo interessi, ma anche un’ideologia, una cultura, un modo di vivere l’Alto Adige come un’isola. Proprio le cose più difficili da cambiare. Per di più nel “vecchio” non tutto è sbagliato, ci sono delle ragioni da ascoltare, e il “nuovo” dovrebbe saperle riconoscere. Ma le cose cambiano anche se votiamo contro. E questo genera un’ansia che si scarica sulla politica, invocando l’autodifesa. Oggi non siamo più al tempo del conflitto tra capitale e lavoro, ma a quello tra i flussi (finanza, tecnologia, conoscenza, merci, persone) e i luoghi. La nuova dialettica globale non ha più il suo ambiente centrale nella fabbrica, come in passato, ma la “fabbrica” è diventata il territorio. In Alto Adige,, in misura più profonda che altrove, agli interessi si mescolano le questioni etniche e identitarie. Siamo in un passaggio che modificherà le forme di vita comunitarie cui siamo abituati. Nella fabbrica-territorio il sistema produttivo che si rinnova, si adatta alle nuove condizioni della competizione entra in contraddizione con la sua rappresentanza politica e istituzionale. La polemica tra l’economia, a maggioranza tedesca, e la Provincia, governata dal partito di raccolta tedesco, è il segnale di un contrasto tra un modello di distribuzione delle risorse che cerca di salvare il passato, per di più con risorse ferme se non calanti, e i bisogni di un sistema produttivo che gareggia nel mondo (infrastrutture e logistica, innovazione e ricerca, tecnologia). Compare cioè un disallineamento tra la parte più avanzata della struttura sociale, quella che traina (tra cui il turismo), e la sua rappresentanza politica. Del resto, accade lo stesso a Bolzano dove si scopre che in un Comune fermo la più ferma è la risposta al bisogno di case: per i prossimi dieci anni si prevede una domanda di tremila appartamenti e, quindi, quartieri organizzati con servizi adeguati. L’edilizia, tra l’altro, è sempre stata un volano per lo sviluppo. Bolzano, quindi, andrebbe ripensata, progettata con uno sguardo lungo, tenendo conto della domanda di crescita che arriva da settori produttivi ma anche da ampi settori sociali. La Svp dei contadini frena. Spagnolli, neanche a dirlo, segue. Il Pd sembra incerto sul da farsi, preoccupato di non danneggiare gli equilibri di un’alleanza composita, ma soprattutto in cerca d’idee, come notava il nostro Paolo Campostrini. E del coraggio per sostenerle. Anche in Comune compare il disallineamento tra alcuni ceti produttivi e sociali e la rappresentanza istituzionale. Per ora si manifesta l’autunno del nostro scontento, ma quando il nuovo sistema economico, ammodernato e reso competitivo dalle pratiche virtuose delle imprese, sarà pronto per sostituire la vecchia struttura centrata sulle aree periferiche e sulle loro figure sociali, molte cose cambieranno. Ha ragione, quindi, il prof. Fazzi nel suo acuto articolo di oggi quando mette in risalto il vuoto di progettualità del Comune di Bolzano. E coglie nel segno lo storico Di Michele quando analizza la difficoltà della Svp a governare risorse limitate senza la bussola di un progetto. La Svp ha sempre trattato il conflitto con le armi del compromesso, sia pure sbilanciato a favore di qualcuno. Ma la novità è che i settori sociali e produttivi penalizzati si mobilitano, inaugurano una forma di agire collettivo che fa società dal basso. Un esempio sono le voci dei quartieri di Bolzano. L’economia parla il linguaggio del civismo operoso, i cittadini della cura civica della città. Hegel direbbe che si apre una lotta per il riconoscimento delle proprie aspettative da parte di ceti diversi che mette sotto stress la tradizionale rappresentanza territoriale. Una rappresentanza insidiata dall’alto dai fenomeni europei e globali, dal basso da una società che tende a auto organizzarsi. Solo se questi processi si governano con intelligenza e saggezza, si eviterà di pagare un costo elevato. In Alto Adige, il rischio sempre presente è che le comunità linguistiche si rinserrino in un risentimento per la distribuzione delle risorse e il controllo del territorio. C’è da temere che il vicino etnicamente diverso diventi l’altro ostile, senza capire che per italiani e tedeschi il competitore con cui fare i conti sta in Asia, in Sud America, nell’Est. Se ciascuno arretra nella propria dimensione quotidiana, l’unica in cui sente un sicuro ancoraggio, e la percepisce come minacciata, la società si frantuma, prevale la chiusura, torna a dominare la divisione tra amico e nemico. Svp e Pd non dovrebbero farsi illusioni: in questo caso, entrambi verrebbero scavalcati a destra. Potranno i due partiti rimanere a lungo in mezzo al guado? Possono credere che il tirare a campare del Comune o gli insufficienti compromessi della Provincia siano una soluzione adeguata ai tempi? Forse, è l’ora che i partiti di governo comincino ad assumere la rappresentanza non tanto del “chi”, come è stato finora, ma del “per”: per fare che cosa. Ma questo significa che Svp e Pd dovrebbero cominciare a cambiare se stessi.

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