La difesa dell’urologo accusa l’Asl «Falla nel sistema informatico»

Il caso del tumore non diagnosticato. Parla l’avvocato: «Schuster non aveva accesso alla cartella» Archiviate le posizioni di altri sette medici, tra cui il direttore del comprensorio e il radiologo


di Susanna Petrone


BOLZANO. La difesa dell’urologo Helmuth Walter Schuster, rinviato a giudizio per omicidio colposo per non aver diagnosticato un tumore, punta il dito sull’Azienda sanitaria altoatesina: «Se il sistema informatico ha una falla non è colpa del medico».

Ricordiamo che lo specialista dovrà affrontare un processo per la morte di Maurizio Maestrini. Il 53enne morì nel 2011 a causa di un tumore alla vescica. La malattia era già evidente in una Tac dell’aprile del 2010. Tac che l’urologo Schuster non visionò mai. Dopo 8 mesi, Maestrini si fece visitare da un secondo medico all’ospedale di Brunico. Ed è lì che scoprì di essere malato. Ma ormai era troppo tardi.

«La prima perizia diceva che l’urologo non era responsabile del decesso di Maestrini - spiega l’avvocato Carlo Bertacchi, legale del medico -. Schuster visitò il paziente e trovò delle lievi tracce di sangue nell’urina. Questi sintomi possono essere provocati da qualsiasi cosa. Per scrupolo l’urologo prescrisse al paziente, che soffriva di problemi gastrici, una Tac e una cistoscopia. La Tac venne effettuata due settimane dopo, mentre per la cistoscopia gli venne chiesto di tornare a luglio». La Tac dunque venne fatta. Il radiologo notò qualcosa di anomalo e consigliò «ulteriori accertamenti urgenti». Indicazioni che non vennero mai lette da Schuster, perché non visionò le analisi. «Il paziente non ha mai ritirato il referto - prosegue Bertacchi -. Non è andato a fare la cistoscopia e non si è presentato da un altro urologo». In realtà, a Maestrini fu detto di non preoccuparsi. Se ci fosse stato qualcosa di grave da segnalare, sarebbe stato avvisato dal dottor Schuster. E Maestrini si fidò. «L’accusa ritiene che il mio cliente sia colpevole. Perché? Perché non ha visionato la Tac. Questo è pacifico - conferma Bertacchi -. Ma Schuster non era l’urologo dell’ospedale di Brunico. Lui lavorava a Bressanone. Andava a Brunico saltuariamente per dare una mano con i turni. Non solo: Maestrini si era recato al pronto soccorso di Brunico altre volte e nessuno dei medici presenti ha visionato la cartella clinica del paziente. Cartella che poteva essere vista tramite il sistema informatico. Schuster invece non aveva accesso ai dati di Maestrini, perché lavorando a Bressanone non gli era permesso accedere al sistema del nosocomio di Brunico. Se c’è una falla nel sistema ne deve rispondere chi il sistema l’ha creato». Ad inizio indagine, furono indagati anche il direttore del comprensorio sanitario di Brunico, il radiologo e tutti i medici del pronto soccorso che visitarono Maestrini tra l’aprile e il novembre del 2010: sette persone. «È stato tutto archiviato, tranne la posizione del mio cliente. Tutti i medici dell’ospedale di Brunico avevano accesso alla cartella clinica di Maestrini. Tutti a parte Schuster», conclude Bertacchi.

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