la storia

La dottoressa degli 8000 con il cuore oltre le cime

Annalisa Fioretti è medico all’ospedale Tappeiner, mamma, alpinista: fa la spola con l’Himalaya. Ha creato una onlus per i nepalesi: «Ti fanno capire la dimensione dei problemi»


di Simone Facchini


MERANO. Il nuovo campo base della dottoressa degli Ottomila è a Merano. Brianzola all’anagrafe e himalayana nel cuore, Annalisa Fioretti fra le nostre montagne architetta la sua prossima impresa sul tetto del mondo. Unendo la sua sfrenata passione per l’alpinismo estremo alla solidarietà connaturata nella sua professione di medico. Si allena andando su e giù per le cime dei dintorni ma le vanno un po’ strette. Ha ben altro nella testa e nelle gambe.

Annalisa Fioretti, la dottoressa degli Ottomila con il cuore oltre le cime

Medico all'ospedale Tappeiner di Merano, mamma, alpinista: fa la spola con l'Himalaya dividendosi fra la passione per le scalate sul tetto del mondo e i progetti di sostegno alla popolazione nepalese con la sua onlus "Il nodo infinito".

«Tornerò in ottobre nelle regioni che ho imparato ad amare e dove ci sono tante persone da aiutare. Ma sto anche facendo un pensiero allo "Snow Leopard”, circuito delle massime vette dell’ex Unione Sovietica. Se lo completi ti danno pure un’onorificenza». Madre quarantenne di due bimbe, Annalisa è così, sorriso senza tregua e pepe nell’animo, travolgente quando ti racconta la sua storia. Che inizia coi ricordi della nonna che arrampicava in gonna partendo con la corriera da Monza per le montagne lombarde, passa attraverso scalate dall’esile confine tra vita e morte, tocca con mano una bimba blu e arriva a oggi, con il lavoro all’ospedale Tappeiner, pneumologa, e la onlus “Il nodo infinito” da seguire per sostenere le popolazioni nepalesi.

«Certo il precedente della nonna mi deve aver segnata – spiega – poi ho iniziato con papà ad andare in montagna. Ho cominciato ad arrampicare su roccia con gli amici. Appena maggiorenne e con una manciata di euro in tasca e pochi mezzi passavamo le nostre vacanze sulle grandi classiche dolomitiche. Una tenda e ogni giorno una via diversa. Lavoravo per mantenermi gli studi all’università San Raffaele di Milano e quel poco che rimaneva era destinato alla montagna ».

Piramide Cnr. Poi quel fatidico 2003: «Avevo provato qualche ghiacciaio e mi ero subito appassionata. E così per nulla al mondo mi sarei lasciata sfuggire l’occasione di aggregarmi a una troupe di medici che stava partendo per la Piramide del Cnr, il laboratorio-osservatorio internazionale a 5000 metri ai piedi dell’Everest, per delle ricerche sul mal di montagna». L’Himalaya strega Annalisa all’istante e per coniugare infatuazione e professione, diventa medico per le spedizioni e i trekking. «Però mi dovevo fermare al campo base. Mentre io volevo salire».

Vita e morte. Le giuste circostanze si realizzano nel 2011, quando è chiamata ad accompagnare un appassionato scalatore sul Geshserbrum 2. Nell’ascesa viene coinvolta in due soccorsi e salva la vita a un pakistano. La seconda grande scalata è di un anno dopo, sul Geshserbrum 1 e ha a che fare con la morte, perché su commissione della moglie assieme a quattro alpinisti cerca di ritrovare il corpo di uno scalatore perito. «Sul piano alpinistico la spedizione fu un flop, una valanga travolse il campo 2. Ma in quell’occasione incontrai il protagonista di “Tre tazze di tè”». Il romanzo narra la storia di Greg Mortenson e unisce l’esperienza alpinistica sull’Himalaya alla filantropia. «Saputo che ero medico, mi fa visitare una bimba di cinque anni. Sakina il suo nome, blu il suo volto. Soffriva di una severa cardiopatia». Annalisa affronta la sua scalata più difficile: contro burocrazie e necessità di reperire fondi, riesce con varie iniziative a raccogliere oltre 20 mila euro e a portare Sakina in Italia per un intervento che le salva la vita. La storia della bimba blu dell’Himalaya la fa conoscere e nel 2013 punta agli 8.586 metri del Kangchenjunga come capospedizione. «Sono arrivata a 100 metri dalla vetta scalando senza ossigeno, record italiano femminile. Andare avanti sarebbe stato un azzardo eccessivo. Mi sono detta: una persona su due che prova questa montagna non torna. È comunque rimasta l’esperienza più probante e intensa».

Terremoto. Nel 2014 partecipa al tentativo di scalata del Lhotse ma una valanga uccide 25 sherpa ed è costretta a rinunciare. Ma è un altro episodio ad aver ancor più segnato Annalisa Fioretti. Un’esperienza in cui ha affrontato allo stesso tempo le vette più alta del pianeta e le paure più profonde dell’animo umano. Risale a quando il terremoto scosse i giganti di ghiaccio e sasso in Nepal, due anni fa. Lei si trova al campo base di Everest e Lhotse, si salva per miracolo. «Un’emergenza inaudita. Sono un medico, mi sono subito attivata. Altri colleghi fuggivano. Una scena di guerra, usai i pochi farmaci che avevo improvvisando brandelli di tenda come bende. Non dimentico l’angoscia di decidere fra chi curare perché avrebbe potuto farcela e chi invece era condannato».

Solo il giorno dopo, con i primi contatti col mondo, capisce che non si trattava di un evento circostanziato ma che il sisma ha messo in ginocchio il paese. «Sono rimasta lì vagando tra i villaggi più sperduti per fornire aiuto». Un aiuto che vuole continuare con la onlus che ha fondato, “Il nodo infinito” e un libro fotografico i ricavati della cui vendita vanno a progetti di ricostruzione, rivolti in particolare all’istruzione dei bambini. «All’ospedale Tappeiner hanno iniziato una raccolta di penne che porterò con me in autunno per regalarle ai bambini».

Staresti ad ascoltarla ore, Annalisa, per l’energia che ti trasmette. E perché, quando le chiedi cosa le lasciano i suoi viaggi “con la V maiuscola” come dice lei, ti apre gli occhi su una verità che tendiamo a dimenticare ogni giorno: «Crediamo sempre che i nostri crucci siano i più grandi. Poi ti capita di vedere quei volti, fra quelle montagne, dove mangiano solo riso e lenticchie e le case sono devastate: ma sorridono. E ti ridanno le giuste dimensioni dei problemi»













Altre notizie

Attualità