La Fiamma che scotta Sfida al coltello tra gli eredi di Mitolo

Urzì, Seppi e Minniti si contendono (se va bene) due seggi Le origini sono comuni ma poi le strade si sono divise


di Massimiliano Bona


BOLZANO. Due poltrone - se va bene - per tre politici di spicco della destra altoatesina, che dopo aver fatto un percorso comune si sono divisi e, negli ultimi giorni di campagna elettorale, non risparmiano stoccate e veleni. Uguali ma diversi, profondamente diversi. Di sicuro la fiamma - quella del partito di Giorgio Almirante, il vecchio Movimento sociale italiano - è arroventata e il confronto, si sta facendo durissimo. Urzì e Seppi hanno condiviso (assieme a Vezzali) nell’ultima legislatura alcune battaglie “sull’italianità dell’Alto Adige” (cartelli e toponomastica in primis), mentre Minniti - passato a «La Destra» di Storace nel dicembre 2012 dopo essere sceso a patti con la Svp per la presidenza del Consiglio provinciale - per il primo «si è svenduto» mentre per il secondo «è l’incoerenza fatta persona». Minniti, invece, da parte sua rivendica un percorso comune «solo con Seppi nel Movimento sociale, perché Urzì è di un’altra famiglia».

Il più “fedele” alle origini a missine, è Donato Seppi, che la scorsa settimana si è giocato il jolly prendendo in affitto la storica sede di via Locatelli che dovrebbe consentirgli di conquistare il voto di coloro che si riconoscono nella destra sociale. «Mi sono avvicinato al Movimento sociale nel 1969 - ricorda Seppi - e sono entrato nella Giovane Italia. Poi sono rimasto fino al 1995: la virata di Fini a Fiuggi, con il passaggio ad Alleanza nazionale, non mi ha mai convinto, tanto che la tessera di An non l’ho mai presa. Non mi piaceva il processo di democristianizzazione in corso. Subito dopo ho fondato Unitalia, movimento che guido con passione da 17 anni e che ha sempre la fiamma tricolore nel simbolo». Seppi sottolinea di non avere bisogno della politica per vivere: «E questo mi rende diverso sia da Urzì che da Minniti. Quest’ultimo sta cercando di riciclarsi per recuperare voti ma dopo essersi svenduto alla Svp dovrebbe sapere che “non basta vestirsi da prete per essere un prete”. Tradotto: nessuno gli crede più. Urzì? Siamo in sintonia per toponomastica e cartelli di montagna ma sull’immigrazione siamo distanti anni luce. Italiani e immigrati, in materia di welfare, non possono essere messi sullo stesso piano».

Alessandro Urzì si è candidato per la prima volta nel 1998, da indipendente, con il Polo degli italiani, di cui facevano parte An e Liberali. L’anno dopo è passato formalmente ad An, partito con il quale ha vinto il congresso provinciale del 2007. Poi si è candidato nella lista del Popolo della Libertà, sempre con An, passando al Pdl nel 2009. A destra c’è chi ha criticato duramente il suo passaggio con Fini (in Fli) nel 2010. «Le ragioni dello strappo da Berlusconi - commenta Urzì - le condivido ancora oggi. Quando ho fiutato una deriva a sinistra ho fondato un movimento territoriale ben radicato sul territorio, come Alto Adige nel cuore». Cosa la differenzia dai due ex compagni di strada? «Da Seppi lo stile nel fare politica. Le posizioni giuste sono rappresentate meglio se non si scade nel populismo. Da Minniti mi distingue il percorso storico che lo ha portato a svendere la comunità italiana in cambio di un posto da presidente del Consiglio provinciale. Su indicazione di Durnwalder e Unterberger ha fatto cambiare il regolamento interno attraverso al quale è stata approvata la legge Svp sulla toponomastica».

Mauro Minniti si è iscritto al Fronte della Gioventù nel 1976 e l’anno dopo è entrato a pieno titolo nell’Msi. Poi ci sono stati i passaggi in An, dopo la svolta finiana di Fiuggi, nel Pdl e, infine, nel partito di Storace. «Io e Donato abbiamo la stessa famiglia, l’Msi, mentre Urzì è di un’altra parrocchia. La Destra è un partito nazionale, a differenza dei movimenti di Seppi e Urzì, e poi è contro l’euro. Siamo convinti che debbano venire prima gli altoatesini e poi gli stranieri». E i veleni non sono ancora finiti.

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