«La nostra Africa» Tre mesi in Benin tra povertà e malaria 

Due giovani volontari bolzanini hanno lavorato per una Ong aiutando le famiglie. «Un paese ricchissimo ridotto alla fame»


di Stefano Rossi


BOLZANO. «Io posso pensare ad avere una passione loro, invece, devono prima pensare a sopravvivere», queste le parole di Lorenzo al ritorno dal suo viaggio in Africa occidentale. La maturità è il primo grande obiettivo dei giovani, anche se, subito dopo aver conquistato con sudore il diploma, molti non sanno cosa fare della propria vita. Lo spaesamento post superiori lo hanno vissuto anche Luca Repetto e Lorenzo Tucconi, due amici di Bolzano, che hanno deciso di unirsi, per tre mesi, a una ONG africana (Muwinnimu Solidaritè et Cooperation). «L’idea di andare in Africa è stata di Luca, io, invece, non volevo iniziare subito l’università e sapevo che un’esperienza simile mi avrebbe cambiato la mente. Così abbiamo deciso di partire», racconta Tucconi. Agli inizi del 2018 sono partiti in direzione Benin con il compito di dare visibilità al lavoro della ONG. Hanno lavorato in alcune scuole come maestri di inglese anche se poi, in realtà, insegnavano ai bambini a giocare a rugby. Inoltre venivano mandati nei campi, dove giravano video per mostrare di cosa ci fosse bisogno. «Serviva per aiutare l’agricoltura, per trovare fondi. A qualcuno serviva un pozzo, a qualcuno il materiale e a qualcun altro un magazzino, c’era sempre bisogno», spiegano. In Benin si vive principalmente di coltivazioni ma, per avere un campo proprio, servono fondi e strumenti che quasi nessuno ha. La maggior parte dei giovani lavora nei terreni vicini e nelle piantagioni di cotone per qualche soldo o un po’ di mais. Luca e Lorenzo si spostavano spesso dalla città di Natitingou a Manta, circa 60 km per una durata di 3-4 ore di viaggio in moto. Nel villaggio di Manta sono stati ospitati dall’agiata famiglia N’Fota che li ha trattati come se fossero i propri figli. Con “agiata”, precisano, si intende che ha un minimo di capitale e un alternatore per la luce in casa e macinare il mais. «Mangiano e mangiavamo prettamente polenta di mais, senza sale - racconta Repetto -. Abbiamo mangiato anche tante cipolle e il riso che però era già un pasto differente, per ricchi, e c’era solo una o due volte a settimana. Te lo godevi tutto». L’acqua, come il cibo, scarseggia. «Noi avevamo il pozzo, anche se ogni tanto si prosciugava, e con il secchio che tiravi su dovevi farti la doccia». Il Benin soffre poi una serie emergenza sanitaria. «Se la gente si ammala non ha, quasi mai, i soldi per permettersi le cure. Si affidano alle loro pozioni e magie, sperando che funzionino, E pensare che con soli cinque euro si potrebbero acquistare le medicine». Repetto e Tucconi hanno preso la malaria. Lorenzo a metà del viaggio: due giorni di febbre alta e ha perso 7 chili. Luca, invece, l’ha contratta verso la fine e anche lui, una volta in Italia, pesava 5 chili meno. Hanno vissuto sulla loro pelle realtà che sembrano così lontane e hanno dovuto imparare ad adattarsi. Lorenzo dormiva su un materasso, Luca, invece, si era abituato a dormire per terra (come la gente del posto), anche se poi ricorda, scherzando, di essersi svegliato un giorno pieno di formiche. I contatti con casa invece erano davvero rari ma spesso utili. Dice Lorenzo, che è stato anche un giocatore del Sudtirolo Rugby: «Mi sono visto più magro ma i chili si riprendono, invece non avrei mai potuto provare quello che ho sentito stando lì. Ciò che mi dà veramente forza è pensare ai miei amici che sono giù (in Africa), ai bambini che non hanno la possibilità di fare molte cose. Io posso farne un sacco e devo farle per loro e per fare del bene a qualcuno. L’Africa è un altro mondo e nessuno può immaginarselo se non lo vive. Bambini che muoiono come mosche, sfruttamento, le donne senza diritti. Sono giunto alla conclusione che tutto parte da noi europei perché siamo noi la causa di ciò che succede laggiù ed essere consapevoli non basta. Bisogna agire, anche nelle scelte quotidiane. Loro devono pensare a sopravvivere e se arrivano in Europa su una barca o in aereo verranno comunque considerati sempre diversi». Tucconi e Repetto si sono lanciati in una raccolta fondi su Facebook per poter aiutare la famiglia che li ha ospitati e la ONG con cui sono partiti, è questo lo scopo ultimo del loro viaggio. «Perché il compito dell’ONG è di rendere il Benin un paese che potenzialmente ha tutto. Non deve puntare sempre alle multinazionali. Deve esserci autosufficienza e i ragazzi hanno il diritto di restare in Benin senza essere costretti a “sognare” l’Italia o la Francia per poter avere una vita migliore e dignitosa».















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