La Provincia cambi pelle

di Paolo Campostrini


Paolo Campostrini


Così, a naso, Durnwalder lo si può anche capire. Dopo trent’anni passati a offrire denaro ora è costretto a sottrarlo: si tratta di una svolta, anche umana, di grande impatto identitario dalla quale sta uscendo a fatica. A tutti risponde allo stesso modo («Non lamentatevi») perchè il suo schema è elementare, di matrice agronomica.
Dopo gli anni grassi, questi sono anni magri e tutti devono rinunciare a qualcosa. Dice tutti perchè considera l’Alto Adige una grande famiglia. Ma dice tutti anche perchè ritiene che questa temperie economica vada gestita attraverso escamotage tattici, senza inerpicarsi in ristrutturazioni strategiche. Configura una serie di sacrifici temporanei a fronte di una non lontana ma inevitabile fuoriuscita dalla crisi: tagli distribuiti a pioggia, indiscriminatamente e in fretta. Così, per togliersi il pensiero. E infatti sfila qualcosa agli ospedali periferici ma non sceglie strategicamente Bolzano («La riforma sanitaria ha partorito un topolino» dicono i medici); affonda con levità tra i dipendenti pubblici ma non redistribuisce nel settore privato. E’ come la raccolta delle elemosine in chiesa, dopo l’omelia del parroco: una lira a testa, ricchi e poveri per liberarsi la coscienza. In realtà, dando risposte uguali a problemi diversi, Durnwalder e la Provincia confondono piani e prospettive. Se quella della compagnia amatoriale che non riceve più i fondi o del provinciale con qualche benefit in meno può essere valutata come una lamentazione, non così quella dell’impresa che si vede tagliare le risorse per l’innovazione o l’industria alberghiera che deve riposizionarsi in tempi di crisi con l’aumento della tassa di soggiorno.
In sostanza: se tagli a tutti è come se non tagliassi a nessuno. E soprattutto: se tagli anche a chi offre garanzie di sviluppo, togli al sistema Alto Adige nel suo complesso (anche a chi ora deve fare sacrifici) la possibilità di una riemersione con le proprie gambe. Per questo il mondo dell’economia è così unanimemente critico nei confronti della manovra provinciale. Perchè non distingue tra impresa e impresa e tra settori; perchè non risparmia con coraggio negli ambiti palesemente fuori dai mercati per concentrare le risorse residue in quelli che potrebbero trovarne di nuovi. Perchè non investe nell’innovazione e nella sburocratizzazione. La quale significa sacrifici oggi (blocco del turn over, riduzioni misurate degli stipendi) ma per poter avere domani una macchina amministrativa che consenta il rilancio strategico dell’«impresa Alto Adige». Dice Durnwalder: «Gli industriali da trent’anni hanno sempre ricevuto». E’ vero. Le Acciaierie sono state sostenute anche se l’acciaio non era concorrenziale; le imprese del turismo invernale sono state sfacciatamente favorite rispetto alle concorrenti fuori dai confini dentro un quadro di protezionismo novecentesco. Ma quelli erano gli anni. E le teste. Tuttavia lo stesso denaro, se non di più, è stato riversato in opulenze provinciali senza paragone, in marmi lucidati a scopo elettorale in ogni Haus der Kultur dedicata più che altro alle feste etiliche, in imprese faraoniche (le Terme di Merano); miliardi sono stati dispersi per lucidare gli ottoni delle Musikapelle o per riordinare le braghe degli Schützen di ogni ordine e grado, per costruire grandiose tangenziali in piccoli paesi (tranne che a Bolzano) e per arredare gli uffici del potere provinciale alzando gli stipendi dei loro burocrati.
Insomma, tutti hanno goduto, non solo le industrie. Ma non tutti oggi, debbono essere tagliati allo stesso modo. Occorrerebbe distinguere e approfondire. Cambiare passo. Darsi uno schema di manovra. Ed è questo che sembra mancare: la capacità di accelerare una revisione complessiva del sistema autonomistico rispetto alle sue ricadute economiche, la forza per cambiare i propri quadri di riferimento e le compatibilità in senso strategico.
Mutare pelle, fuoriuscire da una visione solo redistributiva.
La domanda è: sarà in grado la nostra classe politica di reinventarsi un’identità e una nuova missione?
Sulla risposta che saprà dare a questo quesito si gioca l’intero futuro della nostra comunità, non solo quello di qualche azienda.

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