La rete “sotterranea” che aiuta i profughi

Salvati 100 fra donne e minori. Ieri un’eritrea di notte al gelo


di Massimiliano Bona


BOLZANO. Sono almeno un centinaio - tra minori, mamme-bambine e donne incinta - i migranti salvati dalla "rete sotterranea" di «Binario 1» negli ultimi due anni. Non si tratta di un'associazione ma di un gruppo spontaneo nato per fare fronte all’emergenza. Ne fanno parte una decina di volontari (in realtà sono quasi tutte donne), che hanno deciso di non voltarsi dall'altra parte e di accogliere - anche solo per qualche giorno - anche chi per le leggi vigenti non ha titolo per avere un tetto sopra la testa e dovrebbe finire su una strada. Anche se è inverno e fuori la temperatura scende sotto zero.

Gli ultimi due casi in ordine di tempo sono quelli di Fiesta (21 anni) e della piccola Mercab (un anno e mezzo) - tuttora ospitate da privati e in attesa di ricongiungersi con il capofamiglia a Dresda - e di una donna eritrea, che l’altroieri ha trascorso la notte su una panchina al parco della stazione con un figlio di dodici anni al seguito, di cui ufficialmente si sono perse le tracce. Pare sia rientrato, da solo, a Milano in treno, in un Centro che fino a poco tempo fa ospitava entrambi.

I casi disperati. Per i casi più complessi c'è una rete su WhatsApp nella quale ci sono almeno una decina di famiglie, da Bolzano ad Appiano fino a Castelrotto, che sono disposte ad aprire le loro porte a perfetti sconosciuti. Disperati, senza un soldo in tasca e con una gran voglia di raggiungere la Germania o la Scandinavia dove spesso c'è qualcuno che li aspetta. Storie tristi, di morte e disperazione, che (purtroppo) riescono a scuotere ancora pochi bolzanini. Ora la coscienza di queste volontarie (in gran parte signore dai 30 ai 60 anni) – ci sono insegnanti, dipendenti provinciali, responsabili marketing, una collaboratrice di una Onlus e anche una nobildonna – si è ribellata e il gruppo ha deciso di uscire alla scoperto.

Gli occhi disperati dei profughi in cerca di aiuto. «A Bolzano - racconta una di queste donne coraggiose, che sacrifica una buona fetta del suo tempo libero, weekend compresi - c'è oggettivamente la situazione più critica. Arrivano tante persone male organizzate e non tutte riescono o possono essere accolte in base alle leggi vigenti. Vedendo i profughi in transito, alla stazione, abbiamo deciso di unirci in modo spontaneo: all'inizio eravamo una ventina, ora siamo rimaste la metà. Con il passare delle settimane e dei mesi non è facile riuscire a metterci sempre la stessa energia».

Niente sede. Non essendo un’associazione ma un gruppo spontaneo «Binario 1» non ha nemmeno una sede. Le riunioni si svolgono in case private e almeno un martedì al mese al dopolavoro ferroviario in via Crispi.

I soldi spesi per medicine e latte per i bambini. Grazie soprattutto ai fondi raccolti nella due giorni dedicata ai rifugiati il gruppo riesce a fare fronte alle piccole spese. Piccole, ma fondamentali per aiutare chi non sa dove sbattere la testa.

«Con le donazioni, anche di molti privati, abbiamo pagato camere di albergo, il latte per i bambini, coperte, medicine e dottori. Abbiamo organizzato lezioni di lingua, una formazione base per consentire ai migranti di presentare un curriculum decente».

Salvati almeno cento migranti. I «casi limite» - di persone che non hanno titolo di stare nelle strutture messe a disposizione dalle istituzioni - negli ultimi due anni sono stati almeno un centinaio.

«In gran parte si tratta delle cosiddette persone vulnerabili: penso ai minori, alle mamme-bambine, alle donne incinta, ma anche ai ragazzi 19-20 anni. Solo perché sono poco più che maggiorenni vengono considerati adulti. Ma non lo sono: hanno gli occhi smarriti di chi non sa cosa fare e a chi rivolgersi per ricominciare a vivere». Tra loro ci sono, oltre a Fiesta e Mercab (ospitate lo scorso weekend da una pediatra bolzanina), un ragazzo somalo di 19 anni che dorme da tempo nella chiesa evangelica di via Col di Lana («Il pastore è ospitale e flessibile»), una ragazza nigeriana incinta a Castelrotto, un ragazzino somalo di 15 anni respinto dagli austriaci al Brennero (ora a Casa Forni), quattro ragazze somale che sono state accolte in altre strutture disseminate sul territorio nazionale e tantissimi altri.

Parrocchie defilate. «L'accoglienza, anche nelle parrocchie bolzanine, è stata tiepida. Ci hanno risposto solo due sacerdoti, uno dei quali ospita tuttora due ragazze somale. Gli altri ci hanno semplicemente chiuso la porta in faccia. O non hanno nemmeno aperto. La Chiesa evangelica, al contrario, ci è sempre venuta incontro. Anche solo per far dormire qualcuno in un sacco a pelo per qualche notte. Per noi si tratta di un punto di appoggio prezioso».

Le famiglie della rete. Tra le famiglie che ospitano i migranti - e che sono entrate a far parte di questa «rete più o meno sotterranea» - ci sono una donna di Castelrotto, due giornaliste (una delle quali ospita da un mese e mezzo una coppia di egiziani), una pediatra, una facoltosa donna di Appiano e poche altre. «Ora, se usciamo da questa rete sotterranea, è solo perché la nostra coscienza inizia a ribellarsi. Nel complesso mondo dell'accoglienza ci vorrebbero più coordinamento e maggiore professionalità. In strada non si può e non si deve lasciare nessuno». In stazione la saletta che dovrebbe accogliere i migranti non è nemmeno segnalata, mancano i mediatori (ci sono migranti che non sanno nemmeno inglese e arabo) e sono pochi i volontari a fare il giro del parco.

I migranti che lavorano. Ci sono migranti aiutati dalla «rete sotterranea» che hanno già trovato un lavoro fisso. Uno in un ristorante e l'altro alla Fercam. «Noi, per loro, ci siamo sempre. Anche all’una di notte. Capisco, però, che per molti sia più facile girare la faccia dall’altra parte».

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