La stanza vuota di Mattia: mio figlio, morto due volte

Il papà ieri ha sgomberato la camera a Firmian: «Per 7 anni è stata la sua casa»


di Valeria Frangipane


BOLZANO. «Se c’è un dio, mio figlio è con lui. Per Mattia è stato un calvario. Andate a chiedere a tutti i ragazzi di 20 anni che conoscete se vorrebbero vivere così, otterrete sempre una sola risposta. Per me? Mah, nessun genitore dovrebbe mai sopravvivere a un figlio». Parla così Renato, il padre di Mattia Fiori, il ragazzo che si è spento lunedì sera dopo sette anni di coma. Parla mentre gira per la stanza vuota del figlio al secondo piano del Centro Lungodegenti Firmian. Parla e accarezza il letto. «Sono venuto qui a portare via le sue cose. Ogni giorno qualcosa. Vedete questa non è mai stata per me solo una camera, questa era diventata la casa di Mattia. Massimo Bernardo, responsabile delle Cure palliative dell’ospedale, nelle ultime settimane si era offerto di trasferire il mio ragazzo in ospedale. Ma abbiamo detto no. Questa è stata la sua casa, qui è stato accudito, seguito ed amato dal personale di Firmian, qui era giusto restasse fino alla fine». Nella stanza luminosa dalle tende color albicocca c’è un po’ di tutto. Ma molto è stato portato via. «Si, ho staccato le foto di quando era felice. Mattia che sorride, con la sorella Francesca, con i nipotini, al mare. Era un tipo simpatico, pieno di amici sempre allegro, sul serio!». Sulle pareti ancora appese foto di Vasco, di Schumacher, poster con le firme degli amici e la scritta “Forza Mattia” e ancora madonnine, rosari, libri ed un impianto stereo. «Ogni mattina appena entravo accendevo Vasco, Battisti, Madonna, i Queen... Bocelli. Mio figlio era vita allo stato puro, energia, gioia di stare al mondo. Quando ha preso quel maledetto farmaco e si è sentito male per uno shock anafilattico aveva solo 24 anni. Era il primo marzo del 2007 e se ne è andato lunedì sera a 31 anni». Anni lunghi e difficili. «Non avrebbe mai voluto vegetare. Ricordo che una volta me l’aveva anche detto. Eravamo a casa a guardare la tv insieme. C’era una trasmissione in cui è comparso Piergiorgio Welby, malato di distrofia muscolare, che si è battuto per l’eutanasia e lui mi aveva detto “papà non vorrei mai vivere così”. E invece gli è successo. Sette anni in cui Mattia non è stato lui. Ho cercato disperatamente nei gesti del mio ragazzo una luce, un segno. Ogni tanto muoveva gli occhi e sembrava capire, esserci, ma dopo un attimo tornava il buio. Oggi che questa storia si è conclusa, che lui è in pace, non saprei dire se si è mai accorto di tutto questo». Per sette anni Renato è andato a trovarlo. «Sì e come ho fatto io ha fatto anche mia moglie. Ero lì verso le 8.30 e ci stavo fino alle 13. La mamma andava di pomeriggio, la sorella che lavora ed ha figli, ogni volta che poteva. Gli parlavo, accendevo la musica, gli raccontavo come andavano le cose e mi occupavo di lui. Aiutavo gli assistenti che per me sono stati degli angeli a metterlo sulla sedia a rotelle, gli prendevo la mano, lo accarezzo sulla fronte. Se era agitato perchè aveva la febbre, e parecchie volte è stato così, cercavo di tranquillizzarlo. Se stava bene lo mettevamo su una bici assistita che pedalava da sola. Bello, giovane, forte, aveva tutte le carte da giocare ma il destino le ha sparigliate. Sapete cosa mi hanno insegnato tutti questi anni? Che bisogna vivere la vita giorno per giorno con quel che si ha e possibilmente avere dei bei ricordi. Insieme abbiamo fatto dei bei viaggi. Quando sono andato in pensione mi sono messo a fare dei lavoretti extra per tirar su soldi e regalargli le vacanze al mare. Siamo andati in Sardegna, in Grecia, in Egitto. Andavamo insieme ma in spiaggia non veniva mai perché stava fuori tutta la notte, ma i ragazzi sono così. Vita pura». E torna alla mente il tragico caso di Eluana Englaro rimasta in coma per 17 anni.

«Io lo capisco quel padre che ha chiesto di staccare la spina. Da una parte speravo che mio figlio morisse, dall'altra ero terrorizzato che potesse accadere. Ma questo è sempre stato un mio problema. Mattia non avrebbe mai accettato di vivere in questa maniera e me l’aveva detto». Ma dicono che sia pur sempre vita... «Macchè vita. Tuo figlio lo vuoi vedere crescere, fare progetti, magari sbagliare, ma lo vuoi vedere fare. Credete a me, tutto questo per lui non ha avuto proprio alcun senso».













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