La Svp, il potere e la sfida


Sergio Baraldi


Le prossime elezioni comunali di maggio dovranno dare un importante responso sulla Svp. Nessuno si aspetta brusche cadute o pesanti sconfitte, ma il dato che occorrerà guardare è se la lenta, ma costante discesa di consensi del partito di raccolta troverà o meno una conferma. Per questo il segretario politico Theiner, ieri, al congresso di Merano, ha indicato due obiettivi realistici e prudenti: frenare la fuga di consensi e confermare la quota più ampia possibile di sindaci. Anche l’imprevista uscita di Durnwalder sulla necessità di rimodulare i rapporti tra Comuni e Provincia sia in termini di autonomia sia di gestione dei finanziamenti, si comprende soprattutto guardando la curva elettorale che ha portato la Svp per la prima volta sotto la soglia del 50% di voti. La Svp è il partito sistema e lo resterà anche dopo il voto. Si tratta di vedere se all’interno di uno scenario di declino oppure no. Durnwalder e Theiner lo sanno bene e hanno cercato di compiere una duplice azione: da una parte una classica operazione di ricompattamento attorno alle proprie radici; dall’altra il riposizionamento della Svp come garante del modello Sudtirolo e della sua possibile evoluzione. Durnwalder, infatti, non aveva mai aperto una discussione sulla ridefinizione dei rapporti tra Provincia e Comuni, impostati oggi su un’autonomia incompiuta, attribuita solo al palazzo del governo.
Così è sembrato un accenno meno di circostanza del solito il fatto che il presidente si sia posto la questione italiana, richiamando, senza nominarlo, il “disagio italiano” sul quale ha scritto il professore Fazzi su queste colonne. L’avere definito l’Alto Adige la terra comune in cui tutti i gruppi linguistici devono sentirsi a casa, non è una novità. Ma può diventare un primo passo per affrontare il tema di un territorio multietnico dentro i confini dell’Europa. Se oggi Durnwalder e Theiner si muovono è perché capiscono che il modello altoatesino mostra i suoi limiti e la Svp potrebbe subirne le conseguenze. Il realismo di Theiner e le mosse di Durnwalder, dunque, rappresentano le prime risposte in cerca di una strategia. La direzione sembra corretta, il problema sono i fatti che dovranno rendere credibile le scelte del partito di raccolta. In fondo, questi obiettivi rappresentano l’ammissione indiretta che una trasformazione incontrollabile ha investito anche la società altoatesina e ha posto in crisi l’ideologia della Svp.
 E’ vero, come ha scritto ieri il professore Di Michele, che se la Dc nazionale è morta, la Dc del Sudtirolo è viva. Ma lo rimarrà a condizione che comprenda che deve preparare il futuro. E la Svp si trova di fronte alla difficile sfida del cambiamento. Può resistere, difendere ciò che ha conquistato, chiudendosi nel suo mondo. In questo caso, la storia insegna che si può rinviare l’incontro con il nuovo, ma poi il finale sarà di essere governati dal cambiamento. Oppure si può cercare di negoziare con i mutamenti che ci toccheranno e governare noi, nei limiti del possibile, le trasformazioni che incombono. La Svp naviga tra due rischi. Da una parte c’è il suo potere e la tentazione di affidarsi alle sue lusinghe per fronteggiare una società che avanza, anche qui, nuove domande e chiede nuova cittadinanza. Un pezzo della Svp sente questo richiamo e potrebbe cadere in tentazione, come ci dicono interventi poco meditati sulla Rai, sull’energia, sulla Corte dei Conti o sulla Sanità. Dall’altro lato c’è il declino: la palude di un lungo immobilismo, il ricambio generazionale mancato, la paura che spinge a tornare nel recinto rassicurante della popolazione di lingua tedesca. Al fondo del declino c’è la politica come difesa. Ecco un’altra sirena che parte della Svp sente come sua identità. Questa contraddizione si riflette nella psicologia degli stessi protagonisti. Durnwalder e Theiner sono timonieri che vorrebbero evitare di finire contro gli scogli, eppure anche loro subiscono l’influenza del potere e della resistenza al cambiamento.
 Alla Svp, forse a tutto l’Alto Adige, occorre uno scatto: il coraggio di accettare l’orizzonte del cambiamento e di misurarsi con una nuova cultura. Ma ci riuscirà? E ci riuscirà l’Alto Adige? Non è così semplice. Durnwalder oggi capisce che occorre un nuovo assetto tra Comuni e Provincia, ma non sa uscire dalla vecchia logica che assegna centralità alle valli e non vede che l’idea di “Bolzano capitale” è un’occasione sulla quale investire in qualità per tutto il territorio e per tutti i gruppi linguistici. I comuni non sono tutti uguali. Ignorarlo non significa che questa diventa la verità, ma solo che la Svp è miope o, peggio, in ritardo sulla realtà.
 La modernizzazione del territorio è un altro capitolo decisivo: include il tessuto imprenditoriale, il sistema della conoscenza e della ricerca, l’innovazione. Su questo complessa architettura la Provincia investe ancora poco, con troppi enti, senza un’efficace regia, senza aprire veri spazi alle energie dei soggetti privati. La questione italiana evoca il problema della costruzione di uno spazio interetnico. I partiti italiani, sia al governo sia all’opposizione, appaiono troppo divisi, troppo leggeri, troppo vittime di una vocazione minoritaria rispetto ai bisogni e alle difficoltà della comunità italiana. Occorrerà trovare nuovi equilibri con il gruppo di lingua tedesca, sarebbe urgente dare una rappresentanza più adeguata alle capacità italiane che esistono. Ma chi progetta davvero? L’Alto Adige non può permettersi di affrontare il cambiamento in ordine sparso, frantumato al suo interno tra diverse rivendicazioni, privo di un’etica pubblica condivisa, di una convivenza pienamente riconosciuta che diventi un modello per l’Europa. Infine, non si può eludere il nodo di dare un nuovo significato all’autonomia. Il riequilibrio tra Provincia e Comuni è solo l’aspetto pubblico di un processo riformatore che interessa la cittadinanza, riconoscendo agli individui diritti, responsabilità, partecipazione alle decisioni collettive. Ha ragione il professor Palermo nel suo bell’articolo di oggi, che la Svp deve dimostrare di sapere evolvere verso un nuovo contenitore di consenso. Ma la stessa sfida vale per tutta la politica, partiti italiani compresi. Sempre se la politica vuole essere la soluzione, non il problema.













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