Ladinser: «Giusto aprire la cripta ma il difficile viene adesso»

Il vicesindaco non sarà presente alla cerimonia al Monumento alla Vittoria: «Avevo già altri impegni» «Nel mondo di lingua tedesca c’è ancora la percezione che non tutte le questioni siano state risolte»


di Paolo Campostrini


BOLZANO. Allora è finita, apre il museo... «Direi invece che è appena cominciata. Qui siamo lenti in certe cose». In che senso, vicesindaco? «Che soprattutto nel mondo di lingua tedesca non è ancora entrata l'idea che le questioni siano risolte. Che una volta definito il passato, tutto vada via liscio anche col presente. Non dico col futuro...». Ecco Klaus Ladinser. Pane al pane e vino al vino. Il museo della storia condivisa va bene, dice, ma il lavoro sarà tutto sulle spalle della politica adesso. Ci vorranno più confronti, discussioni. Il coinvolgimento di quella parte di società esclusa dal dibattito. Che, insiste, è stato soprattutto storico. E fatto dagli storici. «E la loro proporzione dentro la commissione era etnicamente paritetica solo formalmente. Diciamo che rispecchiava, anche per quanto riguarda la componente sudtirolese, i canoni del politicamente corretto. Ma la gran parte delle persone è rimasta fuori dal percorso». Si parte dunque da qui per il vicesindaco. Il quale, potrà piacere o no, coagula quella componente pragmatica dello stomaco profondo dei bolzanini di lingua tedesca. E che tocca anche gli Schützen. Che, infatti, stanno alla finestra. Ma che ci sono. E aspettano di vedere cosa succede dentro la cripta. Intanto, comunque, Ladinser domani non ci sarà.

Vicesindaco, abbiamo capito bene, lei sarà assente?

«Non ci sarò».

Un messaggio?

«Un programma definito da mesi. Il sindaco lo sa. Anche la giunta. Nessuna polemica. Ma la data prima non c'era, poi sì, poi ni. Alla fine il ministro ha deciso poche settimane fa. Io ho dovuto programmarmi».

E i consiglieri che protestano?

«L'inaugurazione durerà tre ore. Potranno entrare, uscire, rientrare tutte le volte che vorranno».

È perplesso sull'operazione museo?

«No, andava fatta. Non c'era altra strada che aprirlo. Ma non bisogna chiudere gli occhi di fronte alla realtà. Un conto è applaudire all'operazione politica, un altro far credere, a noi stessi, che tutto è risolto».

E invece?

«Invece no. Gli italiani non si interessano alla storia sudtirolese, i tedeschi guardano con sospetto a percorsi troppo accademici. Era doveroso aprire la cripta ma il lavoro comincia adesso».

Pensa alle contestazioni?

«Quelle saranno il meno. Sono inevitabili quando si sceglie una strada. No, penso alla gente. Quella vera, che lavora e non ha tempo di stare a leggere tutto. È la percezione delle cose su cui bisognerà lavorare. E io sento ancora molta perplessità nel mondo che frequento».

Cosa servirà fare?

«Non celebrarsi. Favorire il dibattito a tutti i livelli. Accettando anche chi non la pensa come noi».

Si riferisce agli Schützen?

«Anche. E in generale a chi è perplesso. A chi pensa che, in fondo, gli italiani vedano la Vittoria come una loro icona. Rispetto e tolleranza significano evitare qualsiasi atteggiamento di superiorità»

E il percorso di storia condivisa?

«È solo l'avvio. Gli storici coinvolti, anche i sudtirolesi, rappresentano una elite. Sono l'immagine del politicamente corretto. Ma poi lo stomaco della gente va da un'altra parte.

Si attende polemiche già per lunedì?

«Alcune sono state annunciate, mi dicono. Altre sono in fieri. Immagino che la destra italiana sia lì, col fucile spianato a valutare ogni minimo errore, a guardare al microscopio i passaggi difficili della ricostruzione storica.».

Poi c'è la destra tedesca...

«Quella fa scena».

E gli Schützen?

«Andranno coinvolti nel percorso di riflessione che dovrà seguire l'apertura. Nessuno dovrà sentirsi escluso. Già lo abbiamo fatto ora, prima dell'inaugurazione...».

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