«Lara “cancellata” dalla foto di classe»

La denuncia di Daniela, mamma di una ragazza disabile


di Antonella Mattioli


BOLZANO. Quella foto è stata la goccia che ha fatto traboccare il vaso. Forse, nonostante fosse esposta in bella mostra nell’atrio della scuola, nessuno ci ha fatto neppure caso, ma Daniela Plazzer sì. Perché da 17 anni, ovvero da quando Lara, la prima dei suoi tre figli è nata, è abituata a combattere per far sì che la tanta sbandierata integrazione non sia soltanto una bella parola di cui riempirsi la bocca in occasione di convegni e dibattiti tra esperti.

«Sono rimasta indignata e mortificata, perché nella foto della terza classe, Lara non c’era. Ho chiesto spiegazioni al preside che con molta superficialità mi ha risposto che probabilmente quel giorno mia figlia non era presente in classe. Solo l’insegnante di sostegno si è scusato. La verità è che nel percorso scolastico, fatto finora da mia figlia, la famosa integrazione non c’è mai stata. E il fatto che Lara non fosse su quella foto, assieme agli altri, ne è la conferma. Troppi ragazzi come mia figlia sono messi in disparte e ciò non è né giusto né corretto».

Daniela Plazzer, bolzanina, ha deciso di mettere nero su bianco in una lettera, inviata la nostro giornale, l’esperienza vissuta assieme al marito in particolare nei tre anni di scuola media superiore, nella speranza che qualcosa possa cambiare, ovvero che di integrazione si parli meno e si faccia di più.

«Mia figlia - spiega - ha difficoltà motorie e cognitive: fin da piccola abbiamo cercato di farle capire che lei può fare tutto, ma con tempi più lenti rispetto ai suoi compagni. Nonostante ciò è autonoma, tranquilla e affettuosa. Dopo le medie, abbiamo deciso di iscriverla in un istituto ad indirizzo professionale, scegliendo una scuola di piccole dimensioni nell’illusione che fosse più accogliente. Durante il consiglio di classe integrato del primo anno, ci siamo accordati con la scuola su quali cose fare con Lara, tra queste c’erano appunto l’integrazione e l’autonomia».

Peccato che i buoni propositi siano rimasti fin da subito sulla carta. «Quando non c’era l’insegnante di sostegno, la sua giornata scolastica finiva. Non poteva stare in classe con i compagni, perché a detta dei professori c’erano troppi ragazzi non adatti a lei. Quindi l’anno è scivolato via, così in solitaria».

Il secondo anno stessa musica: i genitori combattono per farla stare qualche ora assieme ai coetanei, visto che la classe nel frattempo era stata dimezzata. «Risposta: nostra figlia non poteva fermarsi in classe, perché gli insegnanti non se la sentivano e comunque si sarebbe annoiata. Ma la migliore scusa è stata che i compagni erano in un’età difficile e non sarebbero riusciti a comportarsi in modo tale da stare assieme a lei. Forse, mi dico, gli insegnanti avrebbero potuto insegnare a questi ragazzi un po’ di umanità e senso civico ».

Così anche il secondo anno si è concluso per Lara in un’aula di sostegno con altri quattro ragazzi disabili come lei.

Il terzo e ultimo anno, la famiglia riesce ad ottenere qualche ora in classe con i compagni, ormai però è troppo tardi. «Lara esclusa da sempre dal gruppo è in difficoltà e va in crisi. Finalmente comincia lo stage, ma il gruppo rimane invariato: disabili da una parte, ragazzi (normali) dall’altra».

Il 16 giugno, la fine della scuola, ha coinciso per la giovane con la fine di un incubo: «Mia figlia è stata male e per più giorni mi ha chiesto sempre la stessa cosa: “Mamma, non devo più tornare lì, vero?”».

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