il raduno

Le penne nere dell’Alto Adige all’Adunata de L'Aquila

Saranno 250 gli alpini della Sezione Alto Adige che sfileranno domenica


di Alan Conti


BOLZANO. Partiti. Sono in viaggio per L'Aquila (i primi sono già arrivati) i 250 "veci" della Sezione Ana dell'Alto Adige che domenica sfileranno all'Adunata Nazionale.

Il gruppo Oltrisarco  (Foto) è partito questa mattina presto per raggiungere i pionieri in bicicletta (Silvano Muzzana andato a L’Aquila sui pedali) e motocicletta. Già perchè un manipolo di sei appassionati ha sgasato ieri a bordo di vesponi e moto attrezzate. Col sorriso, ovviamente. Per gli Alpini del Gruppo Gries appuntamento nel tardo pomeriggio nel cortile della scuola Archimede in via Roen, mentre all’alba ha salutato il capoluogo altoatesino anche il Gruppo Centro con partenza da piazza Vittoria. Già in viaggio anche il Gruppo Piani.

Tra tutti, comunque, c’è chi per viaggiare utilizza semplicemente il suo pollice (e un cartello con l’invito “Portatemi a L’Aquila”). Si tratta di Carlo Calligione, imprenditore di 46 anni, che nel 2006 davanti a una birra con un amico ha deciso che l’improbabile poteva tranquillamente diventare possibile. «Perchè non raggiungiamo l’Adunata in autostop?» la proposta nell’edizione tenuta ad Asiago.

Pronti, via ed ecco che la sfida ha guadagnato anche alcune regole ferree. «Niente mezzi pubblici e autostrada, ma anche vietato utilizzare il passaggio di gruppi organizzati diretti proprio all’Adunata. Valida solo la generosità della gente comune che ho ben presto scoperto entusiasta di regalare qualche chilometro a un Alpino».

Un’abitudine che è stata la miccia per uno scoppiettio di avventure. «Ricordo quando verso Asiago ci caricarono sul cassone di un’Ape, poi è arrivato un acquazzone improvviso a lavarci completamente. Alle porte di Torino, invece, mi caricarono due sorelle che tornavano da uno spettacolo di majorette in una 500 con tanto di figli e costumi. La macchina era strapiena, ma hanno voluto darmi un passaggio a tutti i costi perchè loro padre era un Alpino. Io praticamente non respiravo nè tantomeno vedevo fuori dal finestrino». Ogni tanto ci scappa anche l’offerta di un piatto caldo. «Andando a Bergamo una famiglia della provincia di Brescia ha preteso che ci fermassimo a pranzo da loro. Impossibile rifiutare e, alla fine, erano loro a ringraziare noi. Incredibile». E l’itinerario? «Si compone quasi in modo naturale, seguendo il percorso di chi mi porta un poco avanti. A volte non chiedo nemmeno fino a dove arriverò. Si passa per strade, città, paesi e territorio dove il cappello d’Alpino fa il suo miracolo con la sola presenza. Il primo passaggio, però, è sempre della Cicci che da casa mi porta fino ad Egna, al massimo a Salorno».

Cosa la spinge, però, ad affrontare ogni anno chilometri di incertezza? «Gli occhi della gente che si illuminano quando possono raccontarti momenti di vita vissuta e ricordi, anche personali, ricchi di sensazioni e valori. La felicità di dare un passaggio a un Alpino è veramente difficile da spiegare, ma le persone in quel momento diventano loro stesse Alpini. Il senso di fratellanza si trasforma sempre in un dialogo sincero ed amichevole, sereno e trasparente. Sono loro che ci fanno un favore e ci fanno sentire come se il regalo l’avessi fatto chiedendo l’autostop».













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