Lettieri racconta la vecchia Bolzano

Il libro di memorie pubblicato appena un anno fa


di Carlo Romeo


Tra i bolzanini, almeno quelli di una certa età, Michele “Misha” Lettieri è figura assai conosciuta non solo per la lunga attività in campo professionale e scolastico o per il successo di alcuni suoi progetti (come quello che gli è valso l’appellativo di “ingegner Talvera”). La grande rete di conoscenze personali gli deriva soprattutto dal ruolo di “jolly tuttofare” svolto nelle associazioni giovanili del secondo dopoguerra, delle quali è stato al tempo stesso promotore, organizzatore, “manovale” e notaio.

L’ingegnere. In ogni occasione in cui è stato chiamato a rievocare episodi della sua vita - anniversari e rimpatriate di circoli e associazioni, mostre, iniziative editoriali – ha rivelato con l’abbondanza torrenziale di aneddoti e digressioni come la dimensione intrinseca del suo racconto sia quella collettiva. Come voce narrante il “noi” è molto più frequente dell’“io”.

Proprio per la parsimonia con cui nel libro vengono dispensati i classici dati autobiografici, è utile darne qui un breve cenno. Nato nel 1924 a Solofra (Avellino), Michele Lettieri si trasferisce a Bolzano nei primi anni Trenta per ricongiungersi al padre, sarto tagliatore presso l’Unione militare. Dopo il diploma magistrale, consegue nel dopoguerra quello scientifico e studia quindi ingegneria a Napoli.

Tornato a Bolzano comincia a esercitare la professione specializzandosi nella statica del cemento armato. All’attività professionale affianca l’insegnamento fino ad assumere definitivo servizio all’istituto per geometri.

Nel frattempo inizia a presentare alle autorità competenti piani di sistemazione dei corsi d’acqua che attraversano la conca cittadina, col duplice obiettivo di migliorare la sicurezza e moltiplicare il verde urbano pubblico. Coinvolgendo uffici statali, comunali e forze armate, nel 1970 è protagonista dell’avvio dell’ambizioso progetto di risistemazione del letto e del greto del Talvera, che – continuato negli anni seguenti dall’Azienda provinciale dei bacini montani e dalla Giardineria comunale – porterà alla creazione dei famosi “prati”, il “polmone verde” cittadino.

Pur incentrato sui profondi cambiamenti della quotidianità bolzanina lungo i decenni, il racconto non si esaurisce mai in un nostalgico amarcord. Focalizzando le percezioni generazionali di allora, i cambiamenti vengono narrati con la curiosità e l’aspettativa di chi ne intravede sempre nuove occasioni di incontro e partecipazione.

L’infanzia negli anni Trenta scorre divisa tra il tempo “anarchico” dei giochi nelle grenz (le bande di ragazzini che si contendono i rioni cittadini) e quello “organizzato” dall’onnipresente partito-regime.

L’estesa descrizione della liturgia di sabati fascisti, adunate, parate e coreografie di balilla e avanguardisti restituisce la forza di attrazione che tutto questo esercitava presso i giovani, soprattutto in una realtà sociale come quella di Bolzano nel Ventennio. Le strutture dei Balilla, poi della Gil e dei Guf rappresentavano gli unici luoghi istituzionali di aggregazione e di esperienze altrimenti inaccessibili (colonie estive e invernali, sport, attività tecnico-artistiche). Quando nel dopoguerra il gruppo di giovani e meno giovani cercherà di ricostruire, coi pochi mezzi che trova, luoghi e strutture su imitazione di quelli in cui è cresciuto, lo farà con uno spirito partecipativo del tutto nuovo, come una “riappropriazione” dal basso.

I ricordi della guerra partono dal clima entusiasta del giugno 1940 per passare ben presto alle ristrettezze della vita quotidiana, al terrore portato “dentro casa” dai bombardamenti alleati, alla repentina caduta del regime insieme ai suoi miti e all’occupazione tedesca.

Destini diversi. Giunge per i giovani bolzanini il momento di drammatiche scelte, volontarie e no, influenzate da famiglia, amici, semplici circostanze. In un contesto storico di estrema polarizzazione, la divergenza dei percorsi assume particolare rilievo all’interno di una realtà sociale così piccola. In un medesimo caseggiato si contano destini completamente opposti: chi si arruola volontario nella Repubblica sociale, chi viene reclutato nelle forze armate germaniche, chi si schiera nelle file della Resistenza. La sorte delle leve più giovani, invece, è generalmente il lavoro militarizzato nelle fabbriche bolzanine. Saranno loro, finita la tempesta della guerra, i primi a muoversi per ricucire i legami sociali sconvolti dalla guerra.

Da qui prendono avvio i racconti sul dopoguerra, quelli dai toni più conviviali e scanzonati. Le pagine più affettuose sono dedicate all’Associazione giovanile altoatesina/ Südtiroler Jugend Vereinigung, che per qualche anno riesce a perseguire un programma interetnico, interclassista e intergenerazionale. Segue poi l’età d’oro delle iniziative ricreative e culturali del Circolo Universitario Cittadino, di cui è ricordata estesamente anche la stagione goliardica, con i gustosi retroscena di alcuni scherzi entrati ormai nella memoria cittadina.

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