Lilli Gruber: «Il mio sguardo sul passato»

La giornalista ha appena pubblicato “Eredità”, in cui attraverso la storia della sua famiglia parla dei traumi sudtirolesi


di Luca Sticcotti


BOLZANO. Ogni tentativo volto a gettare nuova luce sul nostro passato è senz’altro un’importante passo in avanti, specie se si sviluppa in un’ottica in grado di offrire chiavi di lettura trasversali rispetto agli stereotipi etnici.

Nel campo letterario in questo senso, al contributo offerto qualche anno orsono da Francesca Melandri con il suo Eva Dorme, si aggiunge in queste ore il romanzo “Eredità” scritto dalla giornalista altoatesina Lilli Gruber e fresco, anzi freschissimo, di stampa.

Dopo aver raccontato le donne dell’Islam in “Chador” o quelle della Seconda Repubblica in “Streghe - La riscossa delle donne d’Italia”, la Gruber per l’occasione decide dunque di affidarsi ad altre due donne, la bisnonna materna una prozia Hella, per tratteggiare le varie sfaccettature del trauma vissuto dalla popolazione sudtirolese di lingua tedesca dall’annessione all’Italia alle fine del secondo conflitto mondiale.

Com’è noto, oltre che scrittrice la Gruber è giornalista di successo a livello nazionale ed abbiamo quindi colto l’occasione per chiederle lumi, oltre che sul romanzo, anche sulla sua “visione” del Sudtirolo del terzo millennio. Del resto separare le due cose è pressochè impossibile.

Lilli Gruber, quali sono le motivazioni che l'hanno spinta a scrivere il romanzo?

«Capita a molti di ripensare alle storie della propria famiglia. A un certo punto, ho capito che quella storie – per quanto private e probabilmente irripetibili – erano parte di una storia più vasta, che è quella dei sudtirolesi e anche dell’Europa del Novecento.

Una storia molto dolorosa che tante persone, soprattutto i più giovani, non conoscono. Ha deciso di scriverne quando mi è capitato tra le mani un manoscritto della mia bisnonna Rosa, un diario di straordinaria intensità che racconta una grande storia d’amore, una saga familiare e una tragedia collettiva: il crollo dell’Impero austroungarico, l’arrivo degli italiani e poi del fascismo, l’illusione che la Germania nazista potesse riparare il torto subito.

Io faccio la giornalista e mi è sembrato che queste storie meritassero di essere comprese meglio e raccontate».

E' in qualche modo una riconciliazione con la Heimat? Se sì in che senso?

«Ci si riconcilia dopo esserci lasciati e questo non è il mio caso. Penso invece che il libro possa aiutare i lettori italiani a mettersi, per una volta, nella testa degli “altri”, di quei sudtirolesi di cui così poco si sa.

Mi auguro che, dopo averlo letto, si capisca perché la situazione – venendo quassù - non è riassumibile con la consueta battuta “qui siamo in Italia”. Ma credo che qualche motivo di riflessione ci sia anche per i sudtirolesi.

Si vedrà, per esempio, come il totalitarismo germanico non seppe e non volle restituire alla nostra Heimat neanche un po’ di quell’onore che il totalitarismo italiano le aveva sottratto.

Hitler, quando transitò alla stazione di Bolzano, non degnò di uno sguardo i sudtirolesi che lo attendevano festanti…»

Cosa è rimasto invariato e cosa è cambiato nel Sudtirolo di oggi? Com'è vederlo da Roma e da Bruxelles?

«L’altra sera ho visto che Milena Gabanelli, nel suo Report, ha citato l’Alto Adige e Durnwalder come esempi di lungimiranza amministrativa. Devo dire che mi ha fatto molto piacere anche perché fino a qualche anno fa il giornalismo nazionale si occupava dell’Alto Adige solo per le polemiche sulla toponomastica e le targhe bilingui. Quindi si sono fatti molti passi avanti, penso per merito di tutti, italiani compresi. Molti sudtirolesi e altoatesini ragionano sempre più come cittadini europei, e non si tratta più solo di elites. Questa è la grande differenza col passato».

Qual è il suo giudizio sull'attuale crisi politica delle "autonomie"? Quale riflesso potrebbe avere sul futuro dell'autonomia più... autonoma d'Italia?

«La crisi delle autonomie è una conseguenza della crisi economica e della crisi della politica, travolta dagli scandali.

Dopo anni di retorica sul federalismo, sembra che improvvisamente tutti si siano riscoperti statalisti. È davvero sconcertante la superficialità del nostro dibattito politico e istituzionale.

Detto questo, è prevedibile che i trasferimenti di risorse dal centro alla periferia diminuiranno e che quindi la politica delle autonomie dovrà diventare più selettiva. E non è detto che sia un male».

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