Maniaco picchiava le donne: arrestato

In manette Klaus Rabanser, boscaiolo 40enne di Laion. Una prostituta ha finto di essere morta per non essere più pestata


di Riccardo Valletti


BOLZANO. Due aggressioni brutali, ai danni di altrettante prostitute nigeriane, tra gennaio e febbraio. È finito in manette con l’accusa di lesioni gravissime, violenza privata e possesso di un coltello a serramanico Klaus Rabanser, un boscaiolo quarantenne di Laion. Gli agenti della squadra Mobile di Bolzano guidata dal commissario Giuseppe Tricarico, lo hanno arrestato, su mandato del pm Axel Bisignano, giovedì sera in un bar del paese e trasferito presso il carcere di via Dante, a disposizione dell’autorità giudiziaria per l’interrogatorio di garanzia, che verrà eseguito nei prossimi giorni dal giudice per le indagini preliminari Emilio Schönsberg.

L’arresto arriva al termine di oltre due mesi di indagini, iniziate con il ritrovamento, il 18 gennaio scorso, di una prostituta nigeriana trentottenne, quasi in fin di vita, in uno spiazzo appartato lungo una strada laterale delle val d’Ega. Era stata brutalmente pestata, presa a pugni fino ad essere sfigurata in volto, e poi a calci, quando era già a terra inerme. La testa più volte sbattuta violentemente sul selciato, e un numero imprecisato di ossa rotte, tra le spalle, il busto e le braccia.

Un passante l’ha trovata e ha chiamato immediatamente la polizia. Si è salvata perché ha finto di essere morta, e dopo tre mesi è ancora ricoverata in ospedale in attesa di una nuova, ennesima, operazione chirurgica, con la speranza di recuperare, almeno in parte, l’uso del braccio destro.

Scarse le informazioni a disposizione degli inquirenti dopo questa prima aggressione: la prostituta, dopo giorni di cure mediche, ha poi raccontato di ricordare solo un’auto grigia di medie dimensioni e station wagon, e che l’uomo si faceva chiamare Paolo, aveva un piercing sul sopracciglio destro e diceva di vivere nei pressi di Merano. Tutte informazioni che poi si sono rivelate false, e probabilmente date con l’intenzione di depistare le possibili indagini su quello che stava per accadere.

A un mese dalla prima aggressione, il 25 febbraio, una seconda prostituta, anche lei nigeriana ma di trentasette anni, è salita sull’auto di Rabanser. Stesso modus operandi, che secondo l’ipotesi investigativa cela una volontà seriale: la donna caricata nei pressi della funivia del Colle, poi un allontanamento dal centro urbano con una scusa ben aricolata (nel secondo caso Rabanser ha cercato una zona appartata lungo la strada di San Genesio), e poi le richieste “strane”. Al rifiuto della prostituta, l’assalto, tremendo.

L’aggressore l’ha tirata fuori dall’auto, le ha strappato di mano il cellulare e l’ha lanciato in uno strapiombo. Poi le ha stretto le mani al collo, tenendola in bilico sullo stesso ciglio dal quale era appena volato il telefono.

Ma è arrivato l’imprevisto: la proprietaria di un maso vicino, una quarantenne del posto, rincasando ha notato la scena e ha scelto di non voltarsi dall’altra parte. Ha piazzato l’auto di traverso davanti a quella di Rabanser bloccandogli la fuga e lo ha illuminato con gli abbaglianti, facendolo desistere e scappare a piedi nei boschi. Poi ha caricato in auto la prostituta e l’ha accompagnata all’ospedale, mentre nel frattempo dava l’allarme alla polizia. L’auto abbandonata dall’aggressore è stata perquisita dai poliziotti, e all’interno è stato trovato un coltello a serramanico aperto e pronto all’uso. Dall’auto gli inquirenti sono poi risaliti a Rabanser. La sua foto è stata mostrata alla prima vittima, che l’ha riconosciuto immediatamente come il mostro che l’aveva ridotta in fin di vita.

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