Medici: in pensione Gerlinde Fioreschy, la dottoressa di Ora

Ha lavorato anche 17 anni in chirurgia pediatrica a Bolzano «Oggi c’è troppa burocrazia: giusto dare spazio ai giovani»


di Federico Sanzovo


ORA. Dopo ben 27 anni di assistenza sul territorio, la dottoressa Gerlinde von Fioreschy è andata in pensione. Medico di medicina generale nel comune di Ora, oltre che medico ufficiale di Anterivo, von Fioreschy ha curato diverse generazioni di altoatesini, diventando un riferimento per la popolazione della Bassa Atesina.

Dottoressa von Fioreschy, come è iniziata la sua carriera?

«Ho studiato all'Università di Vienna e mi sono laureata nel 1969, mentre l'anno dopo ho iniziato la specialistica in chirurgia pediatrica a Bolzano. Per diciassette anni ho lavorato in questo reparto al San Maurizio poi, nel 1987, sono diventata medico di base nel comune di Ora e non ho più cambiato fino alla pensione».

Quali sono le differenze rispetto al lavoro ospedaliero?

«La differenza principale è il contatto con la gente, il rapporto personale che si instaura con i pazienti. Devo dire che sono stata davvero felice della mia scelta: aver mantenuto questo posto per così tanto tempo mi ha fatto vivere la professione in maniera molto più umana. Pensi che molti che curavo da bambini, ragazzi e ragazze che ho visto crescere, negli ultimi anni mi portavano i loro figli. Con molti di questi pazienti il legame, naturalmente, è forte, ma questo è facilitato anche dalle piccole dimensioni di Ora e dintorni: in città è tutto diverso, nei paesi, per esempio, si fanno molte più visite a domicilio e questo non fa che avvicinare le persone».

Come è cambiato il lavoro del medico di medicina generale in questi anni?

«Io sono passata attraverso tante riforme della sanità e devo dire che ormai questo mestiere è sempre più burocratizzato: si passa oltre la metà del tempo a riempire documenti e ricette invece che a visitare e a curare i pazienti. In più oggi bisogna essere abili con e-mail, ricette elettroniche, tutti ottimi strumenti, che però rendono questo lavoro sempre meno umano».

Come vede il futuro di questa professione?

«A 70 anni penso sia necessario farsi da parte e lasciare la strada ai giovani: sono sicura che chi mi sostituirà avrà tutte le carte in regola per fare un buon lavoro. Si tratta di un mestiere difficile, ma che dà tante soddisfazioni: una su tutte quella di non avere un capo e potersi, quindi, autogestire. E poi (ride, ndr) i giovani sono molto più abili con i computer e con tutto quello che riguarda le moderne tecnologie, quindi penso che il mio posto sia in buone mani».

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