Michaeler (Volksbank): "Via i vecchi politici, l'Alto Adige deve cambiare"

"Il passato è passato, ora dobbiamo iniziare un nuovo ciclo. Se vogliamo continuare a crescere, serve un cambio di mentalità" dice il banchiere 43enne


Mirco Marchiodi


BOLZANO. «L’Alto Adige oggi sta benissimo e per questo dobbiamo dire grazie a chi ha amministrato questa terra. Ma il passato è passato, ora dobbiamo iniziare un nuovo ciclo. Se vogliamo continuare a crescere, serve un cambio di mentalità. Fra tre anni ci sono le elezioni provinciali: è una doppia occasione, per i politici vecchi di lasciare con dignità al momento opportuno, per i giovani di iniziare a prendersi le proprie responsabilità». Quando Otmar Michaeler parla di cambio generazionale, sa benissimo a cosa si riferisce. Lo scorso ottobre è stato nominato presidente della Banca Popolare a soli 43 anni, raccogliendo l’eredità di due personaggi storici come Zeno Giacomuzzi e Hansjörg Bergmeister. Quindici anni prima - Michaeler non aveva ancora compiuto 30 anni - il giovane manager era sbarcato nel settore del turismo: dalla sua collaborazione coi fratelli Falkensteiner di Casteldarne è nato un impero.
Un piccolo impero è anche quello della Banca Popolare (133 filiali, oltre mille collaboratori e quasi 11 miliardi di mezzi amministrati), che proprio in questi giorni festeggia il suo 125º compleanno. Michaeler è appena tornato da Treviso e Venezia, dove si è recato per visionare di persona le nuove filiali aperte negli anni scorsi in Triveneto: «Il nostro cuore, le nostre radici, saranno sempre in Alto Adige. Ma per crescere era necessario uscire dai nostri confini».
Quello che dovrebbero fare maggiormente anche le imprese...
«Ma ce ne sono tante che lo fanno già. Senza scomodare aziende come Leitner o Loacker, penso anche a molte piccole imprese. Ne cito una come esempio, la Barth di Bressanone, falegnameria che oggi realizza il 70% del fatturato fuori dall’Alto Adige. Un’azienda che ha capito che il mercato locale da solo non basta e che fuori provincia ci sono molte opportunità per crescere e che è diventata un motore per molti altri piccoli artigiani che sono suoi fornitori. Anche qui si vede l’impronta dei giovani, che sono molto più propensi a fare export».
Eppure l’Alto Adige sull’export è ancora indietro, anche perché mancano le cooperazioni tra le stesse imprese, troppo piccole per espandersi da sole...
«Le cooperazioni sono importanti, ma la verità è che molti le fanno solo se sono costretti, come ultima spiaggia. È difficile promuoverle, ma è un processo inevitabile che si realizzerà da sé. In Alto Adige abbiamo moltissime micro-aziende. Ma con la burocrazia che c’è oggi e le nuove sfide da affrontare, una o due persone non ce la fanno più a portare avanti un’azienda, o comunque il guadagno è troppo esiguo rispetto all’impegno e al tempo che richiede l’attività dell’imprenditore. Per questo sono convinto che in futuro il numero delle imprese altoatesine diminuirà».
Intanto, però, e nonostante la crisi, il numero delle aziende locali non è calato...
«In queste settimane, come Banca Popolare, stiamo facendo una serie di incontri con gli imprenditori. Abbiamo avuto un sacco di colloqui interessanti, la crisi è stata una grossa sfida per tutti noi, banche e aziende. Ognuno si è concentrato sulla propria attività, la propria organizzazione interna, la struttura dei costi. Anche la Banca Popolare ha dovuto affrontare questo processo: abbiamo dovuto razionalizzare e risparmiare, quando eravamo nel mezzo di un’espansione territoriale che ci ha portato ad aprire 33 filiali in poco più di tre anni. Oggi forse saremmo più prudenti, così come siamo diventati più prudenti nel concedere crediti alle imprese. È una necessità, lo abbiamo spiegato agli stessi imprenditori e credo che lo abbiano capito».
In realtà l’economia si è lamentata molto per la stretta sul credito...
«Diciamo che in passato il problema della liquidità non si poneva. In Alto Adige trovavi sempre una banca pronta a prestarti dei soldi, oggi non è più così».
Intanto molte imprese sono rimaste senza soldi...
«Non chi ha saputo riorganizzarsi, costruire una gestione efficiente, tenere sotto controllo i propri costi. Un esempio: molti piccoli artigiani e albergatori sono andati in crisi per colpa di fatture non pagate. Ecco, anche il controllo dei crediti da incassare è un elemento importante, così come è importante capire che anche fuori dall’Alto Adige si possono fare affari interessanti».
Ma affermarsi fuori provincia non è facile...
«Abbiamo un vantaggio enorme, quello di essere altoatesini. In Italia questo ci viene riconosciuto, la puntualità, la precisione, la velocità sono valori che vengono associati alle nostre imprese. Poi sta a noi riuscire a soddisfare queste aspettative».
In questi mesi c’è stata una forte discussione tra economia e politica. Toni molto accesi da una parte e dall’altra, come giudica questo confronto tra politici e imprenditori?
«Bisogna distinguere tra ciò che è stato fatto e ciò che ci aspetta in futuro. Fino ad oggi è stato fatto un lavoro eccellente, ma ormai si è chiuso un ciclo. Siamo al massimo, forse è anche già iniziata la curva discendente. Se vogliamo restare competitivi, serve un cambio di passo. L’“impresa Alto Adige”, uso volutamente questo termine, deve fare quello che hanno fatto già molte altre aziende e che abbiamo fatto anche noi come banca. Bisogna riorganizzarsi e razionalizzarsi. Sanità, burocrazia, amministrazione pubblica: sono questi gli ambiti in cui intervenire, dove bisogna migliorare, diventare più efficienti. Per questo è decisivo il passaggio generazionale».
La classe dirigente attuale non è in grado di affrontare queste sfide?
«Io rilevo come la discussione sui temi che decideranno il nostro futuro - l’innovazione, l’export, la revisione del sistema dei contributi a pioggia, la riorganizzazione della pubblica amministrazione - è diventata centrale nel momento in cui l’economia si è affidata ai giovani. Penso a Stefan Pan, un presidente che è di una generazione diversa rispetto agli attuali politici. Ma penso anche all’esempio della nostra Banca Popolare, che ha avuto dei dirigenti eccezionali ma che ha anche capito che era arrivato il momento di cambiare puntando su una nuova classe dirigente. L’economia il suo passaggio generazionale l’ha iniziato, ora tocca alla politica, sperando che si trovino dei giovani con delle visioni nuove. Qualcosa sta già cambiando: chi oggi è ai vertici del mondo economico non ha più quel timore reverenziale nei confronti dei vecchi politici e ha il coraggio di portare avanti una discussione anche accesa. L’Alto Adige ha bisogno di questa discussione, perché un confronto all’acqua di rose non porta a nulla. Solo con un confronto franco possiamo ottenere qualcosa, le misure che servono sono urgenti e l’economia fa benissimo a continuare a richiederle. Non si tratta di fare polemica, ma di evidenziare ciò che serve all’Alto Adige per restare all’avanguardia».
Ovvero?
«L’efficienza nella pubblica amministrazione è un punto fondamentale. Ma fondamentale è anche la riforma dei contributi. In futuro non sarà più possibile dare contributi per tutto: per questo bisogna concentrare gli sforzi puntando su quei settori che ci faranno crescere anche in futuro».
Quali sono?
«Turismo e agricoltura resteranno centrali per l’Alto Adige, anche perché l’indotto che producono è vitale sia per il commercio sia per l’artigianato. Poi c’è l’innovazione, e qui ritengo fondamentali tre settori. Le tecnologie alpine, la green economy e la nostra cultura, e in particolare il bilinguismo. Il nostro territorio, le nostre risorse naturali, il nostro ruolo di ponte tra mondo italiano e tedesco. Sono queste le nostre specificità, questi i settori in cui siamo i migliori al mondo e che possiamo sfruttare anche all’estero».

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