Migliaia di malati: nuova sfida ai tumori

Chirurgia oncologica, centri specializzati sul territorio per crescere in qualità


Antonella Mattioli


BOLZANO. Le cifre fanno paura: in Alto Adige ogni anno 2900 persone si ammalano di tumore e 1100 muoiono per questa patologia che è la seconda causa di morte dopo le malattie cardiovascolari. L'assessorato provinciale alla sanità punta a migliorare la fase della diagnosi e quella successiva relativa ad interventi, cure, trattamenti, per offrire a tutta la popolazione una Chirurgia oncologica ai più alti livelli.

La garanzia dell'elevato standard di trattamento e cura verrà dato da una certificazione ufficiale rilasciata da un ente terzo (l'Istituto Bureau Veritas). Ieri la presentazione dell'avvio del processo che dovrebbe portare entro la fine del prossimo anno al rilascio del certificato che attesta qualità e sicurezza della Chirurgia oncologica in base a standard riconosciuti negli Stati Uniti, nel Regno Unito e in Italia. «Questo - ha detto il direttore generale dell'Asl Andreas Fabi - è un punto essenziale della Riforma clinica».

Il progetto è coordinato dal direttore sanitario Oswald Mayr e da Luca Armanaschi (staff della direzione sanitaria). Supportati dal Comitato scientifico di cui fanno parte Alfred Königsrainer (Clinica universitaria di Tubinga), Ferdinando Cafiero (Istituto nazionale tumori di Genova), Massimo Dutto della società incaricata per la certificazione Bureau Veritas, oltre ai coordinatori sanitari dei quattro comprensori.

COSA CAMBIA. Oggi interventi di chirurgia oncologica vengono effettuati in tutti e sette gli ospedali altoatesini. Nel prossimo futuro non sarà più così: con la certificazione dei processi si stabilirà dove verranno fatti questi tipi di interventi. «L'obiettivo - spiega Mayr - è quello di garantire a tutti i cittadini un trattamento adeguato ai nuovi standard scientifici. Vogliamo strutture specializzate con percorsi assistenziali ben definiti. Ciò significa, tra l'altro, che dovranno essere offerte tutte le possibili opzioni terapeutiche, oltre a trattamenti interdisciplinari, al lavoro in rete con centri scientifici di alto livello, alla continuità assistenziale terapeutica». Viste le premesse è chiaro che non è neppure pensabile fare tutto ovunque. «È innanzitutto una questione di numeri - dice il dottor Armanaschi -: se il bacino è troppo piccolo la casistica e quindi l'esperienza del chirurgo è limitata. Poi c'è un discorso di apparecchiature che oggi sono sofisticate e molto costose: neppure queste si possono avere ovunque. Anche perché poi bisogna disporre di personale altamente specializzato e addestrato ad usarle al meglio».

IL PROGETTO. Del gruppo di progetto faranno parte collaboratori di Asl e assessorato. Il loro compito è quello di elaborare dei requisiti generali per la Chirurgia oncologica che siano uguali per tutto il territorio provinciale, secondo standard riconosciuti a livello nazionale e internazionale. Nel progetto giocano un ruolo significativo anche i Gruppi clinici dei quattro ambiti interessati: Chirurgia generale, Ginecologia, Urologia, Otorinolaringoiatria. Toccherà a loro elaborare i requisiti clinici specifici per la Chirurgia oncologica.

L'ORGANIZZAZIONE. «Da studi condotti a livello internazionale - assicura Königsrainer - risulta che migliorando l'organizzazione e lavorando in base a protocolli e modelli standard si migliora notevolmente la qualità dei trattamenti, si riducono le complicazioni post-operatorie e, in certi tumori come quello del retto, si dimezza del 50% il rischio recidive». Che differenza c'è tra il modello altoatesino e quello germanico nella cura dei tumori? «Io lavoro nella regione del Baden Württemberg dove ci sono cinque cliniche universitarie e una forte competitività di cui beneficiano ovviamente i pazienti disposti a spostarsi anche di qualche centinaio di chilometri pur di ottenere le migliori cure».

IL RITORNO. Il professor Königsrainer, membro del Comitato scientifico, è originario della Val Passiria e nel 1995 aveva diretto il reparto di chirurgia del San Maurizio, ma dopo solo 5 mesi se n'era andato sbattendo la porta: «Non riuscivo - dice oggi - ad attuare quelli che erano i miei progetti per il reparto». La sua è stata una perdita pesante per la sanità altoatesino. Le qualità e le capacità di Königsrainer, apprezzate immediatamente dai pazienti che lo hanno conosciuto al San Maurizio oltre che dai suoi stretti collaboratori, non erano state comprese dai dirigenti di allora dell'ospedale e dagli amministratori provinciali. Mentre sono state valorizzate alla Clinica universitaria di Innsbruck dove è stato braccio destro di Raimund Margreiter considerato il «mago dei trapianti», poi direttore del reparto di chirurgia della Clinica universitaria della città dell'Inn, oggi primario della Clinica universitaria di Tubinga. Nostalgia dell'Alto Adige?

«Ho legami forti con la mia terra, ma la mia vita lavorativa ormai è altrove. Oggi dirigo una struttura di 200 persone: la mia grande passione però è sempre la sala operatoria, dove passo tante ore al giorno. Troppe, forse. Perché poi mi devo portare il lavoro amministrativo a casa e lo faccio di notte. Ma non posso rinunciare agli interventi: mi piace operare anche perché riesco a creare rapporti importanti con i miei pazienti». L'assessore Richard Theiner conferma: «Il legame di Königsrainer con l'Alto Adige è rimasto e quando lo chiamiamo è sempre disponibile a collaborare con noi».

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