«Mio padre, ucciso nel lager dai nazisti»

Il racconto di Guido Loew Cadonna figlio dell’avvocato bolzanino Alexander deportato e seviziato nel campo di via Resia


di Matteo Ciangherotti


BOLZANO. Negli occhi di Guido Loew Cadonna si cela un segreto lungo 70 anni. Una storia personale che si fa e si trasforma in memoria collettiva, da custodire, da proteggere, da cullare fino a che la Storia, quella con la S maiuscola, non deciderà di affiggerla nei secoli, stampata per sempre nell’eterno libro del tempo. Oggi, 27 gennaio, lo spazio è occupato dalla Giornata della memoria, una ricorrenza riconosciuta dalle Nazioni Unite e celebrata anche in Italia dal 2001 dopo che il parlamento ha votato, nel luglio del 2000, la legge per istituire il giorno della memoria. In questo spazio dedicato, che dura un giorno e che coincide con l’arrivo nel gennaio del 1945 delle truppe sovietiche nel campo di Auschwitz, si ricordano le vittime del nazismo, lo sterminio degli ebrei (la «Shoah») e, nello specifico italiano, le leggi razziali del 1938 e il dramma dei deportati nei lager.

La storia. Guido Loew Cadonna è il figlio di Alexander Loew Cadonna, avvocato viennese che dopo la prima guerra mondiale si stabilì a Bolzano. Wilhelm Alexander, nato a Vienna nel 1870, è un avvocato quarantenne quando, durante la ritirata dalla prima guerra mondiale, trova rifugio a Sopramonte, piccolo sobborgo sulle colline di Trento. Qui viene ospitato da una famiglia trentina e si innamora della figlia Beatrice, la sposa e i due vanno a vivere a Bolzano, dove Alexander prosegue la sua attività di avvocato. Nel 1924 nasce il figlio di Beatrice e Alexander Loew Cadonna: Guido. Quando il padre, con il peso insormontabile di un cognome di origine ebraica, viene catturato dai nazisti e rinchiuso nel lager di Bolzano, in via Resia, Guido ha appena vent’anni. «Di lui non abbiamo saputo più niente», mi dice Guido nascosto sotto una calda coperta all’ultimo piano di un bellissimo appartamento in via Manci. Le tracce di Alexander si perdono e Guido e Beatrice non lo rivedranno mai più.

Le sevizie. C’è uno strappo nel tempo che va ricostruito, simile al destino di molti degli ebrei deportati nei campi di concentramento. Quando Guido, con i suoi occhi lucidi e belli per quanto si illuminano come un ragazzino, afferma che «di lui (del padre n.d.r.) non abbiamo saputo più niente» significa che il racconto della morte di Alexander Loew Cadonna resta su di una pagina bianca, vuota e svuotata per sempre. Lo sterminio degli ebrei doveva essere cancellato e i processi a carico dei nazisti che iniziarono nel 1945 ricostruirono soltanto una parte della realtà. Terminata la seconda guerra mondiale, anche a Bolzano si giudicarono i colpevoli, veri o presunti. Nella sezione delle udienze che si rivolgevano ai collaborazionisti, dal piccolo delatore all'aguzzino fino all'omicida, fu sottoposto a processo tale Josef Mittermair, allora 35enne, di Nova Ponente. Mittermair era un addetto alla disciplina nel campo di Bolzano e si macchiò di crudeli bestialità nei confronti dei prigionieri. E, in particolare, scagliò la sua violenza proprio contro l’avvocato Alexander, numerosissime volte percosso, fatto braccare e mordere dai cani, terrorizzato sotto la sadica minaccia di fargli schiacciare la testa con le ruote di un autocarro. La moglie Beatrice, con uno speciale permesso, riuscì a portare al marito una boccetta di tintura di iodio per poterne lenire i dolori. Ogni mattina Alexander veniva percosso al capo con una grossa chiave, in modo da portarne sempre i segni, e continuamente schiaffeggiato, colpito con pugni e calci, frustato fino allo svenimento. L'avvocato Loew Cadonna morì, a 74 anni, durante il trasferimento da Bolzano a un campo di sterminio in Germania. «Così abbiamo immaginato, racconta il figlio Guido, perché non ne abbiamo mai avuto la certezza». Mittermair fu condannato a 24 anni (si difese dalle accuse dichiarando: «Io non ho collaborato con i tedeschi, io sono tedesco»).

Guido e Beatrice. Durante la guerra Guido e Beatrice si rifugiarono a Cavalese dove abitarono per un anno. Per loro fu la salvezza. Guido ingannava le giornate studiando medicina e facendo pratica all’ospedale di Tesero: «Ogni giorno prendevo la mia bicicletta e da Cavalese raggiungevo l’ospedale di Tesero dove studiavo con il dottor Morandi. Mi piaceva molto sciare, facevo sia fondo sia discesa. A Cavalese io e mia mamma abbiamo passato un anno tranquillo». Guido, poi, ha proseguito gli studi universitari a Bologna ed è diventato medico radiologo. A Bolzano riceveva i pazienti nell’ambulatorio in via Cassa di Risparmio. Guido oggi ha 89 anni e nella sua abitazione di via Manci raccoglie le parole per catturare, tra sorrisi e amarezze, un pezzo della sua vita di ragazzo che a 20 anni si vede privato di un padre senza una ragione che possa essere compresa. Mai. Non ci sarà mai un perché, una qualsiasi giustificazione a tanta scelleratezza. Guido è il custode, silenzioso e prezioso, di una storia personale che diventa, finalmente, collettiva. Nel 2014, a 70 anni dalla morte del padre, il Comune di Bolzano collocherà un ricordo permanente nella piazza Wilhelm Alexander Loew Cadonna, inaugurata già nel 2011. Su quella targa, Guido, ci scriveremo insieme di tuo padre Alexander, di tua madre Beatrice, della neve di Cavalese e della tua Bolzano.

©RIPRODUZIONE RISERVATA













Altre notizie

Attualità