Moda etica, l’Onu premia Marina Spadafora

La stilista bolzanina: «Guardate sempre l’etichetta. Chi ha fatto i vostri vestiti?»


di Paolo Campostrini


BOLZANO. Uno guarda il prezzo di una t-shirt e poi guarda dove l'hanno fatta: Sri Lanka, Bangladesh, India, Malesia. E spesso si chiede: quanto ci avranno guadagnato? Tantissimo. Probabilmente troppo. Poi la compra e smette di chiederselo.

Marina Spadafora a un certo punto ha guardato le due etichette e ha iniziato a chiedersi: quanto avrà sofferto chi l'ha confezionata? E non ha più smesso di chiederselo. Perché se si inizia così, poi magari uno scopre come lavorano quelli che lavorano a quelle t-shirt, con quali orari, in quali condizioni, con che compenso. E soprattutto: quanti anni avranno? Domande che potrebbero rivelare un brutto mondo, terzo o quarto che sia. Eccola qui l'altra faccia della moda. Quella scomoda e nascosta dai riflettori delle riviste, negata a chi frequenta le sfilate piene di luci. Marina Spadafora, bolzanina, dentro una famiglia che ha prodotto moda da sempre (il marchio Gispa a Ora e poi la Silvy Tricot), già creatrice in proprio (Marina), poi consulente di grandi marchi italiani è adesso direttrice artistica di Auteurs du monde, la linea di moda etica di Altromercato, il consorzio che diffonde il commercio equo e spinge per condizioni di lavoro decenti, che rispettino l'ambiente e le persone, con filiere trasparenti. Per questo sarà premiata, il 23 giugno all'Onu. Le sarà concesso il Women Togheter Award, destinato a chi promuove attività imprenditoriali attente ai valori etici oltrechè economici. Tutto, molto, è cominciato con un film. Presentato un paio di settimane fa a Milano.

Che racconta, Marina?

"Il vero costo degli abiti che indossiamo. Le storie delle persone che li producono e l'impatto di questa industria sul nostro mondo. E sul loro".

Ma il film è solo l'ultima tappa...

"Ma quella che ci ha fatto conoscere meglio di tante parole. Si chiama "The true cost". Il vero costo di lavorazioni spesso disumane. E' di Andrew Morgan. E' stato girato in tante parti del mondo, dalle passerelle scintillanti ai sobborghi più disagiati. Ci hanno aiutato voci influenti del nostro mondo, da Stella McCartney a Livia Firth (la moglie dell’attore Colin), a Vandana Shiva. Un progetto senza precedenti per aprire gli occhi sull'impatto umano e ambientale della fabbrica moda".

E poi c'è una data...

" Sì, è quella del 23 maggio scorso. Il film è stato presentato durante la settimana dell'Fair & Ethical Fashion Show a Milano poco dopo il secondo anniversario della tragedia di Rana Plaza l’edificio commerciale di otto piani che crollò nel 2013 a Savar, un sub-distretto nella Grande Area di Dacca, capitale del Bangladesh e dove persero la vita oltre mille lavoratori della moda. Anche quell'inferno aiutò molti ad aprire gli occhi".

Uno pensa che certi meccanismi, come produrre nel Terzo mondo, siano inevitabili...

"Un conto è andare a lavorare dove le condizioni imprenditoriali sono favorevoli, altro lo sfruttamento disumano. E quando ho capito e visto tutto questo ho cambiato rotta".

Si può produrre moda diversamente e stare sul mercato?

"E' quello che accade alla nostra linea Auteurs du Monde. E' legata ad Altromercato. Che è un consorzio composto da 117 soci, cooperative e organizzazioni no profit. Era conosciuto per il cibo equo e solidale. Se lì si è potuto, perché non applicare le stesse cornici etiche anche ai vestiti?".

Che si vendono?

"E certo. E se uno sa da dove vengono e come sono fatti li indossa volentieri. E poi sono belli. Una bella cosa può essere prodotta assicurando buone condizioni di lavoro con prodotti che non uccidono il pianeta".

Poi è arrivato il quasi Nobel all'Onu...

"Una sorpresa. E' un premio, non un Nobel. Ma i Nobel ci saranno quel giorno, come Shirin Ebadi o Wangari Maathai. E' un premio che sostiene l'etica nell'economia. E ci dice: si può fare. Anche la settimana della moda a Milano, quasi parallela a quella classica, è stata un successo. E' piacevole vedere quante protagoniste del fashion tradizionale, come Franca Sozzani di Vogue Italia, sono ora molto attente a quello che accade dietro i riflettori...".













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