Morelli: «L’errore più grande? Chiudersi nel localismo»

BOLZANO. In veste di editorialista e saggista si occupa da tempo di Autonomia. E dei suoi travagli. Psicologo, docente all'università di Bergamo, presidente del master internazionale Unesco della...


di Paolo Piffer


BOLZANO. In veste di editorialista e saggista si occupa da tempo di Autonomia. E dei suoi travagli. Psicologo, docente all'università di Bergamo, presidente del master internazionale Unesco della Scuola per il governo del territorio e del paesaggio della Provincia di Trento, Ugo Morelli sta seguendo con attenzione il dibattito aperto dal direttore di Alto Adige e Trentino Alberto Faustini sulla provvisorietà, o meno, dell'assetto autonomistico.

È ormai da tempo che l'Autonomia prende sberle a destra e a manca. Un atteggiamento in qualche modo giustificato o strumentale?

«Non c'è dubbio, principalmente strumentale».

Perché?

«Perché in tutti questi anni, pur riconoscendo che sempre si può far meglio, l'uso dell'Autonomia è stato efficace soprattutto in relazione alle altre Autonomie dello Stato italiano. Inoltre, il nostro assetto ha rappresentato, nei fatti e a livello di governance, un'anticipazione di quanto disposto dalla Costituzione».

Cioè?

«Cioè di uno Stato a vocazione federale. Insomma, il modo in cui è stata gestita la nostra Autonomia avrebbe potuto rappresentare un riferimento in una prospettiva federale. Ma così non è successo. Però, fino a non molti anni fa Trentino e Alto Adige erano visti come un modello».

Adesso, cos'è cambiato, perlomeno nella percezione comune?

«Questa è l'altra faccia della medaglia di cui dobbiamo tener conto. Sono cambiate molte cose».

Quali, in particolare?

«Ci sono aspetti insiti nel modello che hanno contribuito a questo cambio di paradigma. Parliamoci chiaro. Se come fonte di distinzione, e io penso che sia così, Autonomia significa forte autostima, riconoscimento di se stessi, una certa compattezza culturale, un valore significativo dell'appartenenza, un amore per il territorio e la sua tutela, dobbiamo ammettere che non sempre si è perseguita questa strada».

In concreto che vuol dire? «Pensiamo, nel concreto, alla gestione della politica economica e di come abbia sortito una sorta di "effetto camomilla" sulla capacità di innovazione. Questo, ad esempio, è un risultato perverso dell'Autonomia. Il che vuol dire, sempre ad esempio, che invece che praticare il principio di reciprocità in base al quale un albergatore investe del suo per aumentare professionalità e migliorare il servizio e l'ente pubblico gli viene incontro, si diventa "dipendenti" dalle politiche economiche pubbliche. In questo modo la capacità di innovazione si addormenta, "l'effetto soporifero" è dietro l'angolo».

In questa direzione si possono proporre altri esempi? «Se l'Autonomia è anche autoconsapevolezza che porta all’apertura internazionale dobbiamo dire che non sempre è accaduto e che il nostro modello si è spesso declinato con il termine chiusura. Inoltre Autonomia significa anche specializzazione delle competenze ed aumento del know-out investito. Non si è andati in questa direzione. Generalmente, le professionalità lavorative sono state, e sono, molto basse».

Il quadro che delinea non pare particolarmente "felice". Insomma, l'Autonomia è provvisoria o meno?

«Non direi che è provvisoria. È il tempo delle scelte, è ora di proiettarsi, ancor più in questo momento di crisi, verso un'apertura euro-mediterranea, nella direzione di un'Europa delle Regioni».

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