Morti sui binari, la condanna della Chiesa 

Irregolari o richiedenti asilo? Don Tomasi: «Vincere la paura nei confronti di queste persone. La legge non sia disumana»


di Sara Martinello


BOLZANO. È ancora «fresca» la notizia della morte di un trentenne tunisino, ucciso da un treno mentre camminava lungo i binari della ferrovia del Brennero nel tratto che corre parallelo a via Maso della Pieve. Una tragedia che si aggiunge a quella del diciannovenne del Gambia, morto il 31 ottobre per lo stesso motivo, o a quella del 23 dicembre, quando al Brennero un giovane marocchino è rimasto folgorato sul tetto di un container, o ancora a quella di un uomo georgiano che il 9 gennaio, a Naturno, è stato travolto da un convoglio. Si trattava - e si tratta - di persone in viaggio verso il nord dell’Europa, ma che troppo spesso rimangono vittime dell’indifferenza. Sono gli «invisibili». Le loro morti ricordano quelle dei milioni di italiani che appena un secolo fa abbandonavano l’Italia per cercare di far fortuna in Belgio, in Germania, in America, in Australia. Ed è per i migranti italiani del Novecento e per le persone che oggi sbarcano in Europa che la Chiesa cattolica ha istituito la Giornata mondiale del migrante e del rifugiato: una celebrazione che ieri ha riempito la chiesa di Regina Pacis, in via Dalmazia, per una messa multilingue officiata da don Michele Tomasi, vicario episcopale per il clero. I bambini del coro “Le stelle che cantano” hanno intonato canti in diverse lingue, mentre lettori e celebranti da diversi paesi hanno arricchito la messa di lingue come il francese, l’albanese, il rumeno, lo spagnolo, il portoghese, l’ucraino, il polacco, il filippino, il sinti.

La grande celebrazione si è conclusa con lo storytelling “Cercando un posto da chiamare casa” del Teatro Sagapò (“s’agapò” in greco significa “ti amo”, “ti voglio bene”). Paola Vismara, incaricata diocesana per la pastorale degli immigrati, precisa che da nazionale la giornata è diventata mondiale perché la Chiesa cattolica è attenta a tutti i popoli che migrano; deve quindi impegnarsi a essere una madre con le braccia aperte in tutti i paesi del mondo.

A proposito delle tragedie che colpiscono i migranti, don Tomasi commenta: «Questi fatti interrogano la coscienza di ognuno, e a maggior ragione della comunità cristiana. Abbiamo un obbligo morale nei confronti di ogni persona semplicemente in quanto persona. Quando si è costretti ad abbandonare la casa, mettendosi in condizioni terribili, pericolose, non lo si fa per sport, sono scelte drammatiche di vita. L’accoglienza deve essere intelligente, integrativa, proteggere chi è in uno stato di bisogno». Ma che cosa possono fare gli altoatesini? Bastano gli aiuti strutturati? «Prima ancora degli aiuti più concreti, bisogna vincere la paura, smettere di vedere in queste persone qualcuno che ci vuole togliere qualcosa. Poi l’aiuto concreto viene dall’ente pubblico, dalla Chiesa, dalle associazioni, dai singoli… Dobbiamo smontare la paura, creare un clima di rispetto per la persona. I problemi si affrontano, non si abbattono». Irregolari, richiedenti asilo… Com’è possibile che si istituisca una separazione tra migranti di serie A e di serie B? «Una persona è una persona. Una legge non può legittimare un atteggiamento inumano. Se non si ha di che mantenere i figli, bisogna andarsene, perché l’alternativa è la non-vita. E a quel punto come possiamo fare distinzioni?»













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