Il progetto

Museo di strada, la Confesercenti rilancia l’idea 

Tanti murales per rilanciare l’economia ma soprattutto per dare dignità ai quartieri a partire da don Bosco. Il direttore Mirco Benetello: «Con il sostegno della Provincia e dell’Ipes identificheremo gli edifici. L’intera città sarà più attrattiva per i turisti»



BOLZANO. Murales sulle facciate delle case dell’edilizia sociale, per dare dignità ai quartieri, generare senso di appartenenza, portare la cultura fuori dai luoghi di solito a questo deputati. Creare coesione sociale grazie al bello. Attirare gente, locale e magari pure turisti. Che a ideare il tutto, nel 2018, sia stata la Confesercenti è assai significativo, per diversi motivi. Intanto perché mica te l’aspetti, una cosa del genere, da un’associazione di categoria, i cui scopi istituzionali sarebbero ben altri.

L’idea - che l’assessore provinciale alla cultura Giuliano Vettorato, il quale l’ha accolta e fatta propria, definisce «bellissima» - è venuta qualche anno fa al direttore di Confesercenti Mirco Benetello. Cui bisogna dunque rendere il giusto tributo. Anche perché dopo i primi esempi per così dire a random, sia a Bolzano che altrove, ora il tutto sta per concretizzarsi in un progetto strutturato, di ampio respiro e di lunga durata, che Benetello chiama museo di strada o street museum. Insomma, un museo diffuso sul territorio.

A breve al riguardo si terrà un vertice, fra il direttore di Confesercenti, il vicepresidente della Provincia coi suoi funzionari e la presidente dell’Ipes Francesca Tosolini.

Si punta ad elaborare in dettaglio un progetto decennale, che coinvolga una pluralità di soggetti e una molteplicità di facciate della nostra città. Perché dopo aver avuto l’idea, Benetello ha tessuto per anni trame di collaborazione, ha coinvolto e convinto chi di dovere, che ha poi aiutato a concretizzare, decretando l’idea come vincente. Un successo anche solo per un motivo: ai bolzanini è piaciuta da morire.

«Abbiamo messo assieme tutti gli strumenti a disposizione, soprattutto abbiamo messo assieme tante necessità differenti: valorizzare i quartieri, farli diventare potenziali attrazioni turistiche, allargando il centro storico con una visione di lungo termine, con ricadute molto ampie non solo sul singolo quartiere ma per tutta la città». Si è partiti da Don Bosco, da una facciata incompiuta di una piazza incompiuta. La facciata dell’edificio Ipes di piazza Don Bosco. L’aspetto quasi curioso, che in realtà sottintende una notevole capacità di avere visioni di ampio respiro, è che non si sono prese in considerazione solo le mere possibili ricadute economiche dell’operazione, anzi non si è proprio partiti da quelle.

Benetello chiarisce: «Abbiamo tentato di tradurre questa operazione in un vantaggio per tutti quanti. Abbiamo considerato non solo la nostra responsabilità verso l’economia, ma abbiamo ritenuto di dover lavorare perché ci fossero delle ricadute sociali positive». Don Bosco «è un quartiere densamente abitato, con molti edifici dell’Ipes, che hanno le loro problematiche. Ma si tratta anche di edifici di valore dal punto di vista architettonico. Volevamo dare questa idea che si tratta di un luogo di qualità, pieno di servizi. Speravamo, attraverso l’arte, la cultura, il bello, che chi ci abita ne prendesse coscienza, ché il rione non è periferia, ma è un quartiere di alto livello, come quelli di altre città. Non si tratta assolutamente di un quartiere di serie B».

L’idea - studiata già tre anni fa sin nei minimi dettagli, basandosi su accurate analisi urbanistiche, architettoniche e socio-economiche, prendendo in considerazione progetti simili in altre realtà (inter)nazionali - era ed è quella di creare un percorso che parta dai murales ma che a questi non si limiti. «I murales sono di grande impatto visivo. E sono sempre disponibili, visibili, ammirabili. Una volta fatti, non puoi neanche rovinarli». Si parte dai murales, facendosi accompagnare da tutte le istituzioni culturali della città: organizzazioni, associazioni, assessorati, scuole, istituzioni come musei e università. «Bisogna convincere, suggerire, stimolare a investire nei rioni».

La scintilla è partita da Confesercenti, ma poi, Benetello tiene a chiarirlo, sono entrati in campo in molti, con entusiasmo. Basti pensare a Bolzanism, sostenuto da Confesercenti, «ma farina del sacco di altre professionalità».

Quello che Benetello non dice è che per operazioni di questo genere, realizzate per di più a tempo di record, è difficile vedere delle ricadute immediate, secondo il principio di causa-effetto. Insomma, detta in soldoni, non è che se si realizza un murale gli esercenti della tal piazza vedono migliorare di botto i loro affari, arrivare turisti eccetera.

Ma il bello inverte la tendenza al degrado, innesca meccanismi migliorativi: i residenti sono favorevolmente impressionati, si apprezza, si crea senso di appartenenza, coesione sociale. Il clima generale migliora. Se poi interviene l’ente pubblico - leggi anche il Comune - concentrando in una determinata zona una molteplicità di attrattive, all’interno di un percorso multidisciplinare, si crea valore aggiunto. Sociale, di comunità, di coesione. Un circolo virtuoso, che attrae, persone e quindi anche economia, perché l’unica arte duratura, immaginabile concretizzabile mantenibile e trasmissibile, può essere solo quella che porti anche un ritorno economico. DA.PA.













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