Muser: «Il presepio non è un pezzo di arredamento» 

Il monito: «Il Natale e i suoi simboli non vanno strumentalizzati» L’impegno della Chiesa: «È giusto schierarsi a difesa della dignità dell’uomo» 


di Paolo Campostrini


BOLZANO. «Lo so che ogni tanto qualcuno vorrebbe dirmi: taci e tornatene in sacrestia...». Sorride, Ivo Muser, ma tira dritto. Tanto che la questione se la Chiesa debba tacere o meno di fronte a tutto quello che sta accadendo, il vescovo la declina così: «Lo so che non deve fare politica, giusto che non si mischi al lavoro democratico dei partiti, ma ritengo ancora più giusto che si schieri. E che lo faccia sui valori». E dunque a chi usa il presepio come bandiera ideologica parla così: «E' un simbolo religioso, non culturale. Non va impugnato come una spada». E sul crocifisso è ancora più chiaro: «Non va strumentalizzato. E' l'immagine della non violenza di Dio». Insiste sulla scomodità della fede, il vescovo, sullo scandalo persistente di dirsi cristiani e di farlo sentire nel quotidiano, non solo durante la messa. E punta il dito verso chi, anche nella politica, mette da parte l'accoglienza e il valore dell'individuo e delle parole che servono per definirlo: noi non siamo bianchi o neri, immigrati clandestini o cittadini regolari ma «quella persona», quell'individuo che dovrebbe rispondere solo di se stesso e per se stesso.

E i mercatini e questo Natale pieno di brindisi e pacchetti? «Non è un elemento di arredamento il nostro Natale. E' un messaggio sconvolgente».

E quale, vescovo Muser?

«Pensiamoci: si tratta di un Dio che non resta nel suo cielo. Questo passaggio non lo troviamo in nessun'altra religione. E' solo nostro. Gli dei della mitologia si mischiavano agli uomini, combattevano, amavano ma poi, quando arrivava il momento difficile e rischiavano la pelle, sparivano, tornavano nell'Olimpo. Cristo invece nasce e soffre e sceglie anche di morire. Tutto come noi».

E dunque?

«Lui a Natale fa una cosa che non spetterebbe a Dio. Per questo il presepio non è arredamento, non va mondanizzato. Ma neppure strumentalizzato».

Si riferisce al suo uso spesso politico, anche nelle scuole o nei confronti degli stranieri?

«Allora: il presepio è la rappresentazione di Dio che chiede accoglienza. Lui arriva da lontano e bussa alla nostra porta: posso nascere qui?»

E noi uomini che facciamo?

«Prima, a fatica, lo accogliamo. Ma poi lo uccidiamo. Il potere lo uccide. Quello religioso lo accusa e quello politico lo mette a morte. Sulla capanna del presepio infatti, c'è la croce. Vogliamo respingere tutti gli altri venuti da lontano?».

Per questo chiede di tornare al significato religioso del Natale e del presepe e non solo a quello culturale?

«E' fondamentale questo passaggio. Perché noi, ormai, non ci interessiamo più del festeggiato. Cioè di Cristo. Forse perché lui è una persona scomoda e allora giriamo la testa dall'altra parte. Oppure ci interessiamo al simbolo per strumentalizzare l'icona-presepio in chiave politica e culturale. O infine tanti sono impegnati nel tentativo di "mondanizzarlo", di calarlo solo come immagine nel mondo dei consumi e dei regali».

Ma anche la Chiesa ha usato, in passato, questi simboli...

«E ha sbagliato. Per la croce si sono combattute guerre orribili. Ma la croce è il simbolo della non violenza di Dio, questo è il senso autentico del suo richiamo».

E dunque perché oggi la Chiesa si schiera?

«Si schiera a difesa della dignità dell'uomo. Di qualsiasi persona. E lo fa anche quando cerca di contrastare l'uso di termini e di parole che oggi sembrano pagare di più, nel linguaggio politico. Così cariche come sono di violenza. Noi dobbiamo parlare perché è il Vangelo che ci dice come. So che quando io parlo coinvolgo la comunità cristiana, ma noi sappiamo che è stato Gesù per primo a calarsi nel quotidiano, a far uscire dai templi il suo messaggio per condividere il destino delle persone. Soprattutto degli ultimi».

Ma la Chiesa ha le soluzioni ai problemi che oggi toccano la pancia della gente?

«La Chiesa non ha soluzioni. Ripeto, non le ha. E dunque non le dice. Ma indica la strada. Dice che è il Vangelo il centro e dunque la persona. Qualunque persona, da dovunque arrivi. Chiarito questo, ogni uomo sa trovare dentro di se la soluzione».

Dunque niente sconti?

«Nessuno sconto sulla dignità umana. Non è un principio astratto ma va declinato nella concretezza della vita, anche della vita politica. Tutti noi quando parliamo in mezzo agli altri facciamo politica, dunque».

Perché solo oggi molta parte della Chiesa, tanti sacerdoti sembrano schierarsi?

«Non lo se se solo oggi. I cristiani hanno spesso parlato. Si cerca di farlo quando alcuni valori fondanti sembrano messi in discussione, questo sì . Ma non sempre è accaduto».

E perché?

«Le dico una frase che ho ascoltato in seminario: Gesù è un buon maestro ma avuto quasi sempre dei cattivi scolari».

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