Nuove regole per le nomine

di Francesco Palermo


Francesco Palermo


Per ammissione della stessa maggioranza che sostiene la Giunta comunale, a Bolzano c’è un problema politico, da cui discende inevitabilmente un problema di governo. Gran parte di questo problema è dovuto a scontri politici interni alla maggioranza, con rapporti tesi tra il Sindaco e il suo partito.
Non è una novità, lo scontro risale a ben prima delle ultime elezioni e sembra che ora stia semplicemente tornando a galla dopo la tregua elettorale. Più che entrare nel merito delle beghe politiche, di cui probabilmente interessa solo alle persone direttamente coinvolte, conviene interrogarsi su alcuni fattori strutturali che stanno a monte, per capire se esistono delle risposte adeguate.
Uno di questi riguarda il ruolo del Sindaco. I comuni sono la prima linea dell’amministrazione, gli enti su cui grava il peso maggiore rispetto alle attese quotidiane dei cittadini: scuole, edilizia, lavori pubblici, traffico, servizi pubblici essenziali. Tutte cose che si devono garantire anche in condizioni economiche difficili. Un buon Sindaco dev’essere un buon amministratore, ma per amministrare bene un ente politico occorre essere anche un buon politico. Le due qualità insieme sono difficili da coniugare in una stessa persona, e anche quando le si ritrova, non è detto che si trovi il bilanciamento giusto tra la capacità politica e quella amministrativa. Quello del Sindaco è un mestiere molto diverso rispetto ad altri incarichi politici, è difficile e meno gratificante, e dà probabilmente più guai che soddisfazioni. Con l’elezione diretta il ruolo politico dei sindaci è cresciuto. Con la sussidiarietà (per quanto di difficile applicazione specie in Alto Adige) sono aumentate anche le funzioni amministrative e le responsabilità. Con la crisi economica sono diminuite le risorse. Con la riduzione (sulla carta) dei controlli, sono paradossalmente aumentati i rischi delle decisioni, per il terrore di sbagliare e di trovarsi a dover pagare a distanza di anni. Un buon sindaco dovrebbe avere doti sovrumane per unire leadership e carisma, capacità di mediazione politica ed efficienza amministrativa, creatività e pazienza. Visto che si tratta di esseri umani, è raro se non impossibile trovare tutte queste doti in una sola persona. Le alternative sono due. Una è guardare, al momento della scelta della candidatura, a cosa è più importante privilegiare in quel momento. L’altra è predisporre e presentare una squadra o almeno un ticket insieme al Sindaco, in modo che le doti che mancano all’uno possano essere compensate da altri, ma alla luce del sole e con legittimazione democratica. A Bolzano per molto tempo servivano soprattutto amministratori che gestissero l’esistente, ora forse, con l’elezione diretta e la crisi della rappresentanza italiana, il sindaco di Bolzano è necessariamente anche un riferimento politico dell’intero gruppo linguistico. Al di là della persona del Sindaco, è essenziale riflettere al momento della selezione dei candidati su quali caratteristiche servono di più in un determinato momento. Come sempre, i problemi si prevengono con riflessioni di metodo a monte. Un ulteriore problema, assai più contingente, è che esistono degli ostacoli che rendono molto difficile dedicarsi ad altro che non siano le beghe di basso profilo. Non è solo la bassa qualità della classe politica a rendere bassa la politica, ma anche alcune regole da cui la politica però non vuole distanziarsi. Un caso emblematico relativo al Comune di Bolzano è quello delle nomine. Per quanto probabilmente sovradimensionato, è un problema reale, che occupa molto tempo e molte energie dei rappresentanti politici. Certamente troppo tempo e troppe energie sottratti ad altre attività, ma sottratti per legge, perché le nomine sono un obbligo del Comune. A poco servono lo sdegno dei cittadini, il disgusto per la lottizzazione, l’invito a guardare il bene comune, e tutta la retorica anche un po’ qualunquista che circonda questo tema. Il sottogoverno è un pilastro importante della gestione del potere, ed è parte integrante dell’interesse della politica in quanto tecnica di conquista e gestione del potere. Sarebbe ingenuo aspettarsi che, colti da folgorazione sulla via di Damasco, improvvisamente gli amministratori (pardon, i politici) comunali (ma anche provinciali, regionali, statali, ecc.) smettessero di interessarsi all’occupazione dei posti di sottogoverno. La soluzione è solo una: cambiare le regole per la copertura di quei posti. Si mettano a concorso, e si formino dei criteri ragionevolmente oggettivi. L’attribuzione agli enti del potere di nomina è normalmente giustificata in base al fatto che gli enti in questione sono proprietari e comunque partecipi per quote significative di diverse società che svolgono funzioni di interesse pubblico. Ma proprio perché i comuni e gli altri enti pubblici sono parte della pubblica amministrazione, sono le regole della pubblica amministrazione a dover prevalere. Per lo stesso motivo per cui le società controllate sono soggette ad una serie di vincoli (contabili, gestionali, di rendicontazione, ecc.) e non sono dunque semplici società private, non si capisce perché la nomina dei vertici debba seguire logiche di tipo privatistico tanto più quando queste logiche si traducono nell’opposto della competizione privata.
Non che la messa a concorso delle nomine risolva magicamente tutti i problemi: le manipolazioni e gli imbrogli sono sempre possibili, come ben si sa. Ma nuove regole avrebbero il grande vantaggio di liberare tempo ed energia dei rappresentanti eletti, che potrebbero dedicarsi più proficuamente ad una politica più alta e all’amministrazione. Forse è arrivato il momento di pensarci sul serio.

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