Omicidio di Rasun, l’ex moglie si è tradita 

La Cassazione rigetta l’istanza di scarcerazione e rivela nuovi pesanti indizi La donna, intercettata in casa, mimava da sola l’atto dell’accoltellamento


di Mario Bertoldi


BOLZANO. Sono decisamente pesanti gli indizi a carico di Dzenana Mangafic, la donna i di 57 anni , originaria di Sarajevo, in carcere con l’accusa di aver assassinato a coltellate (otto fendenti nell’area addominale) l’ex coniuge Kurt Huber a Rasun di Sotto il 4 dicembre di due anni fa. Lo sottolinea la prima sezione penale della Corte di Cassazione che ha depositato le motivazioni con cui è stato rigettato il ricorso degli avvocati difensori della donna contro la decisione del tribunale del riesame di confermare la custodia cautelare in carcere della donna accusata di omicidio volontario. La sentenza della Cassazione mette a punto il quadro indiziario complessivo a carico della donna che ha sempre sostenuto la sua estraneità al crimine affermando di aver visto fuggire dall’abitazione dell’ex marito un fantomatico individuo con un cappello nero. Sono state alcune telecamere di sicurezza (attive all’esterno della casa che ospita anche la canonica) a confutare con certezza questo racconto. Gli occhi elettronici puntati sulla casa non hanno mai registrato il passaggio di questo misterioso individuo. Al contrario le immagini registrate dalle telecamere hanno fornito ulteriori indizi a carico della donna venne ripresa , in orario compatibile con l’omicidio, mentre si allontanava dall’abitazione di Kurt Huber con due sacchetti di plastica , uno dei quali non è più stato ritrovato. Non è escluso che proprio in quel sacchetto la donna possa aver trasportato fuori dalla casa il coltello utilizzato per assassinare l’ex marito e che non è mai stato ritrovato. Le analisi effettuate dai reparti scientifici dei carabinieri hanno escluso che l’omicida possa aver utilizzato uno dei coltelli trovati riposti nella cucina. Le tracce di sangue, anche se ripulite, vengono sempre rilevate in caso di analisi scientifiche. Ma “i gravi indizi di colpevolezza” richiesti dal codice per giustificare un provvedimento cautelare sono stati individuati dalla Cassazione anche in alcuni comportamenti dell’indagata nell’appartamento del delitto, successivamente al fatto. La donna infatti rimase per alcune settimane in libertà e gli inquirenti hanno approfittato della circostanza piazzando nell’abitazione diverse microspie con cui sono state effettuate ore ed ore di intercettazione ambientale audio e video. Ebbene dalle immagini in mano agli inquirenti in un’occasione si rileva la donna mentre mima in un monologo solitario l’atto dell’accoltellamento e poco dopo affermare. “Io che cosa ho fatto...mi uccido anch’io...va fan’culo tutto». In sentenza i giudici fanno poi riferimento alla crescente insofferenza dimostrata anche con alcuni conoscenti dall’indagata per la situazione economica estremamente precaria in cui si era venuta a trovare anche a seguito dell’abuso di sostanze alcoliche e della ludopatia di cui la donna era affetta.

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