Otto giovani della Juvenes tra i bimbi in fuga dalla guerra

Pere tre settimane, i bolzanini hanno aiutato il missionario Filippo Perin «Un’esperienza incredibile, ci siamo resi conto di ciò che è davvero importante»



BOLZANO. Otto ragazze e ragazzi bolzanini dell’associazione Juvenes, tutti tra i 18 e i 22 anni, accompagnati dal presidente Sebastian Cincelli, sono appena rientrati da un soggiorno di tre settimane in Etiopia dove hanno aiutato don Filippo Perin, missionario tra i bambini in fuga dalla guerra in Sudan. Questo è il loro racconto.

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Quando siamo partiti per l’Etiopia, il 22 luglio, nelle nostre valigie avevamo dubbi, aspettative, curiosità nei confronti dell’esperienza che ci aspettava: saremmo stati all’altezza dell’impegno che ci eravamo preso? Cosa davvero avremmo trovato? La risposta ci si è presentata da sola: appena arrivati alla missione siamo stati circondati dai bambini: centinaia di occhi che ci osservavano curiosi, centinaia di mani che ci cercavano e ci toccavano. Semplicemente stringendosi attorno a noi e cercavano il nostro contatto ci hanno fatti sentire importanti, attesi, eppure allo stesso tempo estranei, alieni al loro mondo.

La curiosità nei nostri confronti non è scemata nel corso dell’esperienza e per tutte le tre settimane che siamo rimasti qua non solo i bambini ma tutte le persone che abbiamo incontrato ci hanno trasmesso il loro entusiasmo e la loro gioia di vivere, facendoci riscoprire il lato più umano di noi stessi. Tutte le mattine la prima attività che facciamo con loro è il ballo che a loro piace moltissimo. Seguono la lezione di inglese, tenuta da noi con l’aiuto di alcuni animatori locali per la traduzione e la comunicazione con i fanciulli, poi attività varie e giochi. Le attività mattutine si svolgono sempre a Nyinenyang, il villaggio dove risiede don Filippo Perin, il missionario salesiano che ci ha invitati in Africa e che opera qui già da sei anni. Nel pomeriggio riproponiamo le stesse attività negli altri villaggi della parrocchia, distanti anche parecchi chilometri. I ragazzi e l’intera comunità sono sempre molto felici quando arriviamo noi, i “kawai” (stranieri) come ci chiamano loro.

Le tre settimane sono volate, pervase dal calore di queste persone così diverse da noi: quando ormai ci eravamo affezionati è giunta l’ora di ripartire. Ci piange il cuore lasciando questa terra meravigliosa.

Da questa esperienza abbiamo ricevuto tantissimo, torniamo in Italia arricchiti e cambiati: quello che abbiamo visto e provato in Etiopia di certo modificherà il nostro modo di vivere occidentale e consumista. Qui, dove il regalo più ambito è un paio di scarpe da ginnastica magari di seconda o terza mano, abbiamo riscoperto la gioia del non avere nulla e il riuscire ugualmente a donare tutto.













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