Palermo: la norma tutelerà gli italiani

Il senatore: «Abbiamo posto le regole che freneranno l’arbitrio del più forte. Fare lo stesso con la scuola? Vedremo»


di Francesca Gonzato


BOLZANO. È entrato nella seduta della Commissione dei Sei, mercoledì, senza avere ancora l’accordo fatto. Francesco Palermo è il presidente della paritetica che è riuscito a varare una norma di attuazione sulla toponomastica che supera il concetto di bilinguismo dello Statuto e introduce il principio dell’uso. «Passaggio storico», dicono Svp e Pd. Al di fuori, un arcobaleno di reazioni.

Adesso cosa succede?

«La Commissione dei Sei si riunirà l’8 marzo per il via libera definitivo della norma. In questi giorni metteremo in “bella” l’elenco dei nomi allegato. Poi la norma dovrà passare dal Consiglio dei ministri e andrà alla firma del presidente Mattarella. Servirà poi una legge provinciale, che sostituisca quella del 2012, impugnata davanti alla Consulta».

Settimane di sua mediazione sulla lista dei nomi per arrivare a incassare il voto all’unanimità.

«Il mio paletto era: no a un voto solo a maggioranza su un tema così delicato. Quanto alla lista, Urzì e altri chiedono l’elenco. Non ho problemi a divulgarlo e sarà ufficiale dopo l’approvazione. Le discussioni sui nomi sono inevitabili, ma poco importanti. È un elenco asistematico in sé».

Perché?

«Perché è nato dall’esposto di Guido Margheri sui cartelli di montagna e dalle fotografie dei carabinieri. Diciamo che è una prima lista, una base del futuro repertorio toponomastico provinciale, che offre una prima indicazione sui criteri adottati per decidere la versione monolingue o bilingue di un toponimo. Come ho detto all’infinito, l’aspetto importante della norma è che sgancia la toponomastica dalla politica e la affida ai tecnici, abbassando la temperatura».

Approvata la norma definitivamente, si dovrà costituire il comitato paritetico di sei tecnici (tre italiani, tre sudtirolesi), nominati in consiglio provinciale dai rispettivi gruppi linguistici.

«Il comitato deciderà sui nomi con criterio del doppio voto a maggioranza assoluta: per licenziare un nome bilingue o monolingue serviranno quattro voti, di cui due italiani e due tedeschi. Nessuno deciderà sulla testa dell’altro. Il comitato lavorerà per anni. Porterà gruppi di nomi in consiglio provinciale, che voterà sul pacchetto, non sui singoli nomi. È una galassia diversificata. L’elenco allegato è di circa 1300 nomi e non credo che il comitato vi metterà mano. Poi ci sono gli 8 mila toponimi tolomeiani dei due regi decreti del 1925 e infine ci sono 120-150 mila toponimi mai normati, tra vecchi e nuovi insediamenti, prevalentemente tedeschi. Se non si accerterà l’uso in italiano, resteranno monolingui».

Chi deciderà i criteri per accertare l’uso di un nome?

«La commissione stessa. Il nostro allegato di nomi è frutto del lavoro di tre commissioni: quella tecnica Durnwalder-Fitto che ha lavorato su carte e documenti, quella più politica Durnwalder-Delrio, quella del Cai che ha ragionato sull’uso. Questa è la base».

Ma gli 8 mila nomi italiani resteranno ufficiali?

«Sì, la legge provinciale non li può abrogare. Resteranno ufficiali, ma di fatto saranno ignorati, perché ciò che conterà sarà il repertorio provinciale che li accoglierà solo in parte, immagino in larga parte, come accaduto per l’elenco dei 1300».

Una doppia giurisprudenza, insomma. La principale obiezione è che scavalcate con norma lo Statuto, cancellando il bilinguismo.

«No, è una norma che interpreta lo Statuto. A meno che non si presuma che per ogni toponimo della provincia corrisponda un nome italiano.Ma non è mai stato così. La norma interpreta il principio statutario del bilinguismo. Per fare solo un esempio, il Cai stesso si è dichiarato d’accordo che resti solo il nome Castel Hocheppan (Castel d’Appiano)».

In base al principio dell’interpretazione, le norme di attuazione potranno scardinare lo Statuto con procedura semplificata e non con legge costituzionale? Anche l’articolo 19 sulla scuola, dunque, per dare base giuridica alle classi plurilingui.

«Una norma di attuazione è pensabile, ma potrebbe bastare meno, anche atti amministrativi. Perché l'articolo 19 è una garanzia per la scuola di minoranza, il che non esclude modelli aggiuntivi. Ovviamente serve la volontà politica».

In definitiva, perché una norma di attuazione sulla toponomastica per togliere nomi al gruppo italiano?

«A prima vista può sembrare. Ma in realtà si ottiene di frenare l’emorragia iniziata da anni. Si danno regole, senza le quali c’è arbitrio, in cui vince il più forte. E non sono gli italiani».

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