Palermo: tempi durissimi i governatori alzino la voce

Il senatore sulla trattativa finanziaria: non possiamo più guardarci l’ombelico


di Francesca Gonzato


BOLZANO. Sabato mattina, Francesco Palermo risponde al telefono. Urla sullo sfondo, «vergogna», impossibile parlare. Partitella amichevole allo stadio? «No, Senato. Qui si lavora così, ormai». Palermo, senatore e presidente della Commissione dei Sei, parte da Palazzo Madama ridotto a curva sud per ragionare sulla crisi Bolzano-Trento-Roma esplosa giovedì con la «proposta irricevibile», secondo Kompatscher e Rossi, «indecente» secondo Zeller, avanzata dai vertici del ministero delle Finanze alle due Province sui futuri rapporti finanziari. Palermo non appartiene al gruppo di chi difende «a prescindere» le ragioni delle autonomie speciali, invita sempre ad alzare lo sguardo dall’ombelico. Non fa eccezione neppure questa volta.

Roma mostra i denti, la Svp e una parte dei parlamentari trentini valutano se restare nella maggioranza. Dobbiamo aspettarci una balcanizzazione dei rapporti Stato-speciali?

«La mia premessa è questa: c’è bisogno di un accordo, questo vale per noi delle autonomie speciali e per lo Stato. A nessuno conviene rompere. Detto questo, in un anno e mezzo come parlamentare ho capito che nella nostra cultura politica se non minacci e non prendi a calci, non ottieni nulla. Lo stiamo vivendo in queste ore al Senato. Non condivido né il merito né il metodo adottato dal governo Renzi per approvare le riforme, ma se non tirasse calci, nulla si muoverebbe. Non mi piace, mi limito a constatarlo».

Questo per dire che i presidenti fanno bene ad alzare la voce?

«Certamente. Come detto, non c’è alternativa al negoziato, ma sarà un negoziato duro. La controparte governativa non ha la capacità, forse neppure la possibilità di programmare. Ecco perché a Rossi e Kompatscher, sapendo che ci sono cause praticamente vinte per sei miliardi davanti alla Consulta, arriva questa proposta: se rinunciate ai ricorsi, fino al 2017 vi taglieremo un po’ meno che agli altri. Una situazione assurda. Noi “speciali” siamo viziati e troppo abituati a guardare solo al nostro ombelico, ma almeno noi, grazie alla autonomia abbiamo il diritto- dovere sacrosanto di poter programmare. Se lo Stato non sa o non può farlo, ne lascino almeno a noi la possibilità. Credo che si arriverà a un accordo, in cui perderemo qualcosa, ma lo Stato saprà approfittare dell’opportunità di avere una piccola porzione di territorio impostata su un periodo almeno medio-lungo».

In tutto questo il premier Renzi dove sta? Nel suo libro «Stil novo» del 2012 aveva scritto: «Via le regioni a statuto speciale». Non era una boutade?

«Non c’è dubbio che per Renzi le autonomie, tutte le autonomie, siano fumo negli occhi. Ma sa che deve negoziare e lo farà».

Lei insiste sul fatto che siamo ancora viziati.

«Dobbiamo abituarci tutti, noi e lo Stato, a considerare la prospettiva dell’altro. Per quanto riguarda noi, è arrivato il momento per vedere com’è il mondo a sud di Salorno, siamo generosi e diciamo a sud di Borghetto... Se non altro per non ripeterne gli errori. È una zavorra pericolosa il provincialismo che ci ha portato l’èra Durnwalder, con la mentalità “lo Stato ci deve dare”».

Per essere sinceri, già Durnwalder aveva accettato la prospettiva che la Provincia dovesse fare la propria parte nel risanamento dei conti dello Stato. E questa è la linea di Kompatscher e Rossi. Chiedono di fissarlo nero su bianco. È ancora troppo poco?

«Mettiamola così. È finito il tempo dell’innocenza e delle casse piene. Dobbiamo attrezzarci a trattative più aggressive che in passato e più strutturate, perché a breve non potremo neppure più avvalerci del pressing politico legato al nostro pacchetto di voti in Parlamento. Già adesso i nostri voti al Senato sulle riforme non sono decisivi, grazie al sostegno di Forza Italia. Lo saranno ancora sulla legge di stabilità, ma sono gli ultimi colpi. Se andrà in porto la riforma costituzionale, i senatori designati dal consiglio provinciale avranno un peso residuale e alla Camera il premio di maggioranza darà al vincitore un vantaggio che lo libererà da ogni potere di veto. Insomma, i presidenti trattino sulla base di una proposta seria, alzando la voce quando serve. Dalla nostra parte abbiamo i ricorsi, che sono un’arma forte. Se non ci fossero, credo che ci avrebbero spazzato via senza tanti complimenti. Non siamo ancora nell’angolo. Dal 2009 le manovre ci sono costate circa il 18% del bilancio. Alla Val d’Aosta è andata peggio: è passata da un bilancio di 1,5 miliardi a un miliardo».

Il commissario della Lega Fugatti dice che il sottosegretario Bressa, il difensore dell’autonomia per antonomasia, si sta rivelando un’arma spuntata. Qualche nostalgico rimpiange i tempi in cui «Durnwalder con una telefonata risolveva tutto».

«Ma va là. Ci provino loro... Le telefonate non servono più a nulla e nemmeno le trattative “speck and go”. Tutti noi, dalle Alpi alla Sicilia, scontiamo gli anni della dissolutezza delle baby pensioni e tutto il resto. I dirigenti ministeriali hanno il coltello sguainato, altro che telefonate».

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