Passarella lascia la scuola  «I miei 45 anni tra i banchi Sono cambiata coi ragazzi» 

Ieri la festa al Teatro Cristallo. La preside va in pensione ma inizierà una nuova avventura all'università. «Mi preoccupano molto i tagli paventati alla cultura e all’istruzione»



Bolzano. «La scuola? Deve cambiare sempre, come cambiano i ragazzi. Vittorino Andreoli dice che le generazioni si trasformano ogni cinque anni... Ecco, o anche l'insegnante sceglie di essere flessibile, coraggioso nei metodi, dimentica quello che era e si trasforma oppure non ci si riesce più a capire, tra noi e loro».

Mirca Passarella va di corsa. Di solito sale in bici e via, verso le Pascoli. Anche ieri che, dopo il suo liceo, lo attendeva una festa al Cristallo, verso sera, con gli alunni e le alunne della Manzoni, la scuola di cui è stata al timone per una vita. «Che matti... cosa ci sarà poi da festeggiare?», scherza.

Ad esempio proprio lei. Una donna con 45 anni di militanza scolastica («in realtà, contando tutto anche 50» dice) e più di 30 come dirigente. Formatrice di insegnanti della scuola primaria nell’ambito linguistico. Promotrice di numerosi progetti di innovazione scolastica e di plurilinguismo. Ha attivato, con i docenti della scuola Manzoni, le sezioni paritetiche bilingui dal 2006 e con docenti della scuola Foscolo le sezioni plurilingui dall’anno scolastico 2011-2012.

Ma finita una storia, da preside (del liceo pedagogico), ne inizia un'altra, all’università. Sempre un banco da cui parlare. Quello che non smette di fare è pensare con la sua testa. Ad esempio i tagli alla cultura: «Quello che ho letto ultimamente sui giornali non mi piace».

E cosa ha letto?

"Riassumendo, direi questo: c'è il pericolo che a Bolzano, alla cultura bolzanina, vengano tolte risorse. Si è iniziato con i tagli ai servizi esterni del Trevi e si sta passando, così è stato detto, ad un ridimensionamento degli investimenti sul capoluogo".

L'ha detto il suo nuovo assessore, signora preside...

"Beh, io non mi sono mai formalizzata. Quello che penso, dico. E quello che vorrei dire è che Bolzano dovrebbe avere di più, non di meno. C'è una grande maggioranza di lingua italiana, ci sono tanti di lingua tedesca, dovrebbe essere un punto di riferimento europeo nello studio delle lingue. Ecco, cosa fare. E invece si taglia ancora. Ai ragazzi vanno dati più strumenti, non meno. La cultura, l'insegnamento multilingue costano ma non sono mai abbastanza perchè il mondo cambia e non si può restare fermi. O peggio, arretrare. Altroché depotenziare...".

Lei ferma, c'è mai stata?

"Poco. Ho iniziato con le primarie. Pensi che il mio primo incarico è stato a Bergamo. Allora i concorsi erano nazionali, non territoriali. Ammetto che è stata un'esperienza fondamentale.

Perchè?

"Eravamo in 11 nuove e abbiamo subito imparato a lavorare in gruppo. Il gruppo è la chiave di tutto".

E poi?

"Poi a Brunico. E lì ho iniziato il percorso altoatesino. Ma la questione del lavoro di gruppo è stata sempre al centro dei miei pensieri".

È così decisivo?

"Lo è. A chi mi chiede se la scuola è cambiata io dico sì, tantissimo. Ma è cambiato anche l'insegnamento, non solo le generazioni degli studenti. E oggi dico che il meglio i ragazzi lo acquisiscono nel gruppi dei pari. Devono interagire. Stare insieme e discutere".

Basta lezioni frontali?

"Non sono più efficaci. E il rischio, per i docenti, è restare legati proprio a queste esperienze del passato. Serve invece flessibilità. In questo senso c'è stato un cambiamento epocale: dalla lezione passiva a quella attiva".

E la tecnologia? La generazione twitter rischia un mancato approfondimento delle cose?

La tecnologia è una grande opportunità. Ma ha anche cambiato teste e comportamenti dei "millenials". Hanno codici che non erano i nostri. Ma non lo sono neppure rispetto alle stesse generazioni molto più vicine agli studenti di oggi. In questo l'accelerazione del contesto mentale delle persone è stata senza freni. Per questo serve il gruppo. Il confronto reale su ogni tema. La nozione, la scuola nozionistica, loro la aggirano acquisendo informazioni dirette, in autonomia. Ma per scendere in profondità lo strumento è il dialogo, la discussione. E' in quel contesto che il rischio di stare in superficie viene meno. Ma serve più disponibilità, anche da parte della scuola, a lavorare senza schemi rigidi ".

Come va con l'integrazione dei ragazzi stranieri?

"Vent'anni fa erano pochi e sparuti. E ci si chiedeva come fare, perchè l'argomento era come un libro appena aperto alle prime pagine".

E adesso?

"Abbiamo a che fare con pochi studenti provenienti da famiglie di prima generazione. Ora sono soprattutto di seconda, quindi con una buona base linguistica in italiano. Come sono? A volte tra i migliori. Hanno grande capacità di applicazione. Ma poi ci sono quelli che non studiano, tali e quali gli italiani da sempre direi...".

I genitori?

"L'integrazione non è un problema. Certo, se nelle classi gli stranieri fossero al 60%.... Ma non lo sono".

Lei è intervenuta decisamente nella vicenda del ponte giallo, su quella manifestazione della destra...

"Rifarei tutto. I ragazzi vogliono essere presi sul serio. Non si può dire una cosa e farne un'altra. E questo non riguarda solo i ragazzi di sinistra, tutti. Per questo ho appoggiato quella lettera di protesta interna".

E i suoi studenti che le hanno detto?

"È bastato un "brava preside"...".

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