Pausa caffè, in Provincia i controllori sono i colleghi

Il direttore generale: «Bisogna timbrare, per chi non lo fa scattano le sanzioni» In un anno fino a 10 infrazioni. C’è un report mensile: chi è sotto deve recuperare


di Massimiliano Bona


BOLZANO. A differenza del vicino Trentino, in Alto Adige le regole (rigide) per la pausa caffè in Provincia ci sono già e chi sgarra paga il conto. Che può essere anche salato. Il direttore generale Hanspeter Staffler sottolinea che a trasgredire sono, al massimo, tra i cinque e i dieci dipendenti l’anno. Un risultato più che buono se consideriamo che i collaboratori da monitorare (esclusi gli insegnanti) sono circa diecimila.

«Non posso dire che il fenomeno a Bolzano non esista, anche perché in Provincia siamo oggettivamente parecchi. Diciamo che per quanto attiene le trasgressioni siamo sempre rimasti su cifre residuali, ma il motivo è presto detto. Riusciamo a sfruttare al meglio quello che io chiamo “controllo sociale”. Sono gli stessi colleghi di reparto che, se c’è qualcosa che non va, segnalano la situazione al direttore d’ufficio. Un’uscita senza timbratura può, forse, passare inosservata ma non la seconda».

Timbrature: un report per tutti a fine mese. Il principio di fondo, spiega Staffler, è sempre lo stesso. «I dipendenti che vogliono uscire dal Palazzo di competenza devono sempre e comunque timbrare. Se è per la pausa caffè il periodo concesso è di 15 minuti. E questo vale anche per il direttore generale. Chi sfora sa che, a fine mese il direttore di riferimento deve compilare un report per ciascuno al termine del quale c’è un segno + o un segno –. Chi è sopra sa di aver fatto delle ore di straordinario mentre chi è sotto deve necessariamente recuperare. Se non lo fa scattano tutte le sanzioni previste dal contratto».

Il primo passo è la segnalazione scritta, poi può esserci la decurtazione di una parte dello stipendio - che scatta spesso qualora un dipendente sia recidivo - e, nei casi più rilevanti, si arriva anche alla sospensione dal lavoro o al licenziamento. «Non abbiamo bisogno di calcare la mano perché il sistema funziona. E il timbratore di sicuro non mente», assicura Staffler.

I dipendenti: «Qui controllano anche gli uscieri». Il fatto, per certi versi strano, e che dà l’idea di come i controlli tutto sommato stiano bene a tutti, è il plauso dei dipendenti all’attuale sistema.

«Io lavoro nel Palazzo dell’assessora Deeg - spiega un dipendente - e devo ammettere che le regole sono sempre state chiare a tutti. Quindici minuti per la pausa caffè con timbratura obbligatoria. I bar, qui vicino, non mancano e pertanto riusciamo tranquillamente a staccare e rientrare». Ma chi sfora, perché magari c’è la coda alla cassa del bar, sa bene di non rischiare nulla. A patto che abbia timbrato. «Se resto 20 minuti so che nel report mensile, che mi viene inviato via mail, mi decurteranno cinque minuti dagli straordinari. Se sto fuori di più c’è comunque tempo e modo di compensare. Il problema c’è, semmai, se non timbri. Ma il rischio è davvero marginale». Perché? «Oltre ai colleghi, sempre molto solerti, ci sono anche gli uscieri, già alle 8 del mattino. Presidiano gli ingressi e il timbratore. E se serve chiedono lumi...».

Nel 2016 solo cinque infrazioni. «Le cifre degli ultimi anni - commenta Staffler - non si discostano poi molto una dall’altra e non superano comunque quota dieci. Nel 2016 ci siamo fermati a cinque. Certo, chi viene colto in flagranza, grazie al controllo sociale, paga il conto. Chi pensa di fare il furbo viene regolarmente scoperto».

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