Per la «fabbrica» del lavoro 25 milioni

Inaugurati i nuovi laboratori alle Professionali Einaudi. Investimento ingente ma sono i più avanzati d’Italia


di Paolo Campostrini


BOLZANO. Carlo Azzolini li ha osservati a lungo, in questi anni i mattoni rossi posti lì a disegnare le scuole professionali, pensati già nel 1966 come colore della modernità per guardare, più sotto, Oltrisarco che cresceva. Ma oggi, cinquant'anni, dopo, l'architetto li ha messi di sbieco quei mattoni.

Nuovi e tagliati di traverso, perché mostrassero il loro interno di materia grezza e imperfetta.

È anche la contemporaneità che si riaffaccia architettonicamente su Bolzano, dunque, la nuova "addizione" delle «Einaudi».

Un aggiunto che le amplia e le riqualifica ma pure un dialogo a distanza tra architetti (il primo fu Kompatscher) di due generazioni, che offre il senso di una continuità nella diversità degli scenari.

Perché gli enormi laboratori affiancati da ieri alla scuola professionale sopra il campo di Santa Geltrude sono più di una semplice addizione: sono l'investimento che una intera comunità compie sul suo futuro.

«Abbiamo speso 25 milioni, non pochi - ha detto Renzo Roncat - usiamoli, usateli bene. Ma tutto questo servirà a tutti».

E dopo il capoarea della formazione professionale, è stato Tommasini a offrire il senso "politico" della questione: «Siamo così pieni di paure oggi, vere o fittizie, che l'unico modo di uscirne è investire nella cultura e nella formazione. Perché è qui che nasce la coesione sociale e il lavoro».

Ecco, proprio il lavoro. E il suo mondo che aspetta l'inserimento dei giovani. È questo il senso dell'operazione. Costosa, costosissima vista con i parametri con cui sono abituati a confrontarsi nel resto del Paese. Ma che fornisce anche il senso di una scelta. Che va in profondità, apparentemente poco visibile.

Non una grande opera ma un gran lavoro di base che ha coinvolto, nella preparazione, tutta la rete della formazione professionale in lingua italiana.

Cinquantamila metri cubi: ecco la dimensione. Sedici laboratori di proporzioni inusitate. «Grandi, ognuno di loro, come una palestra - ha spiegato Azzolini, il progettista - ma provate a farne quattro e a metterne i multipli su quattro piani». Come se si fossero costruiti cento appartamenti.

Uno dice: ma perché allora non fare case? Perché da chi studierà in quei laboratori verranno fuori i costruttori di impianti per quelle nuove case e, possibilmente, anche chi le abiterà perché avrà trovato lavoro e reddito e inserimento sociale. Il nuovo corpo, cubi di mattoni rossi, vetro e acciaio, si affaccia adesso sul fianco nord del centro di formazione professionale. In pratica sostituiscono le vecchie officine non più adeguate alle norme di sicurezza. Al piano terra i laboratori di saldatura, carpenteria, metallica, torneria e controllo numerico. Al primo piano i quattro di auto-meccanica, dove il progetto approfitta del dislivello di via Castel Flavon per creare un terrazzo di accesso direttamente collegato alla strada. Al secondo grafica, stampa, legatoria e progettazione foto studio. Poi i laboratori per gli elettricisti e per le tecnologie ambientali innovative. Nei piani interrati i magazzini e una autorimessa per 40 posti. «Si tratta di luoghi in cui gli studenti troveranno macchinari che neppure esistono ancora nelle aziende private - spiega Paolo Montagner, del dipartimento edilizia - ma che troveranno, magari, quando verranno assunti tra un paio d'anni». La scuola che parte in anticipo sui tempi. Un inedito. Ma che qui accade. «Saranno i laboratori più tecnologicamente avanzati d'Italia», dice Tommasini. È probabile, viste dimensioni e investimento. «L'architettura riprende il motivo del mattone della struttura originale degli anni Settanta - racconta Azzolini - ma la tratta con una diversa finitura. Spaccandolo a metà e evidenziando così il lato ruvido». Il laterizio è usato sulle superfici, molto ampie, chiuse dai lati corti dell'edificio, in contrasto con le facciata vetrate poste sui lati lunghi. «Perché i laboratori hanno bisogno di tanta luce». Un investimento di queste dimensioni è fatto per Bolzano-capoluogo, ha avvertito il vicepresidente Tommasini. Voleva sottolineare, in questa fase di confronto sulle risorse finanziarie città-Provincia, che si tratta di una "infrastruttura" culturale. Che deve essere "porosa e dunque aprirsi alla città e ai suoi abitanti".

È quello che ha ribadito anche l'assessore Gennaccaro, alla Einaudi in vece di Caramaschi: «Perché un investimento così prestigioso deve diventare uno snodo per attività e convegni, incontri e ricerche sul futuro del capoluogo».

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