Pescosta: «In Uzbekistan quindici giorni da incubo»

Il medico bloccato perché aveva con sè un farmaco considerato una droga «Un consiglio? Portate sempre ricette scritte in inglese e viaggiate in gruppo»



BOLZANO. «Finalmente l’incubo è finito. Sono stati 15 giorni logoranti, perché non sapevo quando quella situazione kafkiana sarebbe finita». Norbert Pescosta, 53 anni, medico di Ematologia del San Maurizio, racconta così la brutta avventura vissuta in Uzbekistan assieme all’artista meranese Arnold Dall’O e all’amico Raoul Schrott, scrittore austriaco. Dall’esperienza personale un consiglio a chi viaggia: «Se andate all’estero e avete dei medicinali portate sempre con voi una prescrizione medica tradotta in inglese in cui si spiega perché dovete assumere quel farmaco. E dichiarate tutto alla frontiera. Io, per una crocetta non messa sul modulo d’ingresso, mi sono trovato in un mare di guai».

Dall’O, Schrott e Pescosta da tempo avevano programmato un viaggio a Samarcanda. I primi due erano partiti da Merano con una Land Rover il 2 maggio.

«Siamo scesi lungo i Balcani - racconta l’artista meranese - quindi abbiamo attraversato la Turchia, la Georgia e il 24 maggio ci siamo trovati in Azerbaigian con Norbert, che ci aveva raggiunti con l’aereo. Assieme abbiamo proseguito per l’Uzbekistan: tutto è filato liscio fino a quando siamo arrivati vicino a Nukus».

Lì per il gruppo sono iniziati i problemi. «La frontiera vicino a Nukus - dice Pescosta - è poco frequentata: se passano un paio di macchine al giorno è tanto. Abbiamo compilato il modulo in cui ci chiedevano una serie di cose. Non ho messo che, nella borsa dei medicinali, avevo una confezione di “En”, questo è il nome in italiano, il principio attivo è il Delorazepam. Non pensavo che quel farmaco contro l’ansia fosse considerato sostanza psicotropa (stupefacente). Tanto che io ho mostrato tranquillamente la borsa dei farmaci. Ad aggravare tutto, il fatto che nessuno dei poliziotti in servizio alla frontiera conosceva una parola d’inglese».

Il medico bolzanino è stato portato in un ufficio della polizia e ha capito subito che le cose si stavano mettendo male. Lui in stato fermo, i due amici liberi ma fortemente preoccupati per quel che stava succedendo. «Non sono finito in carcere, ma in un albergo dove per fortuna c’era il responsabile che parlava inglese e mi ha dato una mano. Quello è un regime dittatoriale con una burocrazia lentissima e farraginosa. Ho avuto la fortuna di essermela cavata in quindici giorni, perché si sono mobilitati in molti. A partire dall’ambasciatore che mi chiamava due volte al giorno». La moglie Martina Schullian (della giardineria omonima) si è data da fare: per riportarlo a casa si sono mossi anche l’eurodeputato Herbert Dorfmann e il sottosegretario Gianclaudio Bressa. Dopo giornate di grandissima incertezza è arrivato il processo. «Dove i poliziotti hanno mostrato un video che non era quello girato nel momento in cui mi hanno bloccato alla frontiera. Ero stato io ad aprire la borsa dei farmaci, da quelle immagini risultava invece che erano stati loro a trovare la confezione di “En”. Ho avuto paura. Alla fine comunque sono stato assolto: hanno riconosciuto che non avevo importato una droga. Ma ho dovuto lasciare subito il Paese con il divieto di tornarci per i prossimi cinque anni. L’Uzbekistan è una terra fantastica, consiglio però di andarci in gruppo o con una guida».

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