Pirrone: «Il ddl Pillon rancoroso verso le donne» 

Sala piena alla serata organizzata da Gea. La consigliera contro le discriminazioni: «Rende più difficile divorziare e aumenta i rischi per le vittime di violenza in casa»



BOLZANO. L’aula magna del liceo Carducci era piena di spettatori, l’altra sera, per la discussione organizzata dal centro d’ascolto antiviolenza Gea, socio di D.i.Re (Donne in rete contro la violenza) sul disegno di legge presentato dal senatore leghista Simone Pillon e volto a riformare il diritto di famiglia, concentrandosi soprattutto sull’affidamento dei figli qualora i genitori si separino. Mentre il ddl è all’esame della commissione giustizia del Senato, sabato nelle piazze italiane sono scese associazioni per la tutela dei minori, movimenti femministi e organizzazioni che tutelano le donne dalla violenza di genere. Alla discussione, cui ha fatto seguito la proiezione di “L’affido. Una storia di violenza”, il film di Xavier Legrand premiato al Festival di Venezia, hanno partecipato la senatrice e avvocata Julia Unterberger, membro della commissione giustizia, il direttore dell’Asdi (associazione separati e divorziati italiani) bolzanina Elio Cirimbelli, la coordinatrice del centro “Il germoglio – der Sonnenschein” Cristina De Paoli e, per Gea, l’avvocata e consigliera di fiducia del comitato unico contro le discriminazioni del Comune di Bolzano Marcella Pirrone.

Avvocata Pirrone, qual è il motivo dell’adesione alla mobilitazione contro il ddl Pillon?

«Il disegno di legge accresce le difficoltà per chi voglia divorziare. E i motivi sono diversi. Si va dall’obbligo di un percorso di mediazione qualora una coppia decida di separarsi, e quindi di una spesa non indifferente in termini di tempo e di denaro, alla rigidità di un modello di regolamentazione delle attività genitoriali che impedisce di valutare ogni caso come a sé stante e di considerare l’interesse dei figli. E ancora, i rischi per le donne vittime di violenza domestica, e la considerazione dei figli come di un pacchetto da dividersi».

Un salto indietro di cinquant’anni.

«Un ddl rancoroso verso le donne, misogino, che promuove una parità astratta e del tutto falsa. Le disparità sociali e lavorative restano, e sono le statistiche a dircelo. Le donne dedicano alla cura della famiglia un numero di ore maggiore rispetto agli uomini. E l’Alto Adige, nonostante sia una delle province più ricche e più generose dal punto di vista dell’offerta lavorativa, presenta una percentuale altissima di abbandono del lavoro dopo il secondo figlio. Con questo disegno di legge si alza il tiro politicamente, si porta avanti un’ideologia giocando sulla vita delle donne e dei minori».

La condizione di disparità economica e la sussistenza di una situazione di violenza domestica possono avere conseguenze serie sui figli.

«Sì, perché al posto dell’assegno di mantenimento si vorrebbe introdurre il mantenimento diretto, cioè basato su un reddito che, come già detto, per le donne è inferiore. E soprattutto si ricaccia la violenza nel silenzio: qualora i figli rifiutino di andare nella casa del genitore violento, la madre è accusata di manipolarli e rischia quindi di perdere la “responsabilità genitoriale”».

I padri hanno sempre interesse a tenere i figli con sé?

«I padri violenti si ricordano di essere genitori soltanto al momento della separazione: esercitare il controllo sui figli significa per loro continuare ad avere potere anche sulla donna. E ricordo che i femminicidi avvengono molto più spesso dopo la separazione».

La mobilitazione contro il ddl Pillon può essere trasversale alla società?

«Sì. Le donne rinunciano a reddito, pensione e sicurezza, mentre gli uomini non sono disposti a farlo. Ma questo non deve portare a un aumento delle disparità: un padre che voglia essere tale deve ribellarsi a una legge che impone un modello e promuovere invece una legge che permetta la conciliazione, tenendo conto della realtà di disparità tra i generi. E sono ancora troppo pochi gli uomini che riconoscono questa situazione». (s.m.)













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